Monday, July 19, 2004

Lee Staub. Da Auschwitz a Gubbio. Storia di un uomo

Come tanti ebrei, Lee Staub è ricco e colto. E anche un po’ snob. Di sicuro ha un animo battagliero, dal carattere forte. Fa pesare 5 lauree in campo medico. Vive nel Castello di Carbonana, a stazione di Pietralunga, nel territorio comunale di Gubbio, alzando lo sguardo all’altezza del bivio che sale a Cima di Pietralunga. Ci si arriva attraverso una stradina in salita. La prima impressione è quella d’un luogo solare, che affascina. “Ma senza fantasmi”, butta lì sorridendo il dottor Staub. La storia di questo signore e di questo castello vanno proprio raccontate. Cominciamo dal castello eugubino, di cui c’è traccia sin dal quinto secolo dopo Cristo e che trova posto nell’archivio Vaticano in una mappa risalente al 1495. Nel decimo secolo dopo Cristo, un uomo molto influente dell’Ordine dei Templari acquisì il castello, diventando così il primo conte di Carbonana. L’acquisizione del titolo nobiliare nonché del castello si tramanderà, sino al diciassettesimo secolo, di proprietario in proprietario, quando poi il castello rimase disabitato. Nel 1885, nella prima guerra contro l’Abissinia, si distinse un generale d’artiglieria, Gigli, discendente del ramo femminile dei Carbonana. Una volta terminata quella guerra, tornando a casa, Gigli chiese al Re d’Italia di poter riavere la sua proprietà.
Aveva 5 figli, di cui uno divenne generale proprio come lui. Ma nessuno di loro intendeva occuparsi di questa tenuta, così il castello passò all’ultimogenito, Ferruccio Gigli, che tentò invano di disfarsene a causa di una grave crisi finanziaria che lo aveva investito.
Era il 1961 quando Lee Staub venne a Gubbio per la prima volta e fu accompagnato a vedere quel castello. Ne rimase a tal punto affascinato da
Decidere su due piedi di acquistarlo: in 48 ore venne sottoscritto l’atto e pagato l’importo.
Ferruccio Gigli aveva espresso il desiderio di divenire monaco laico e questo indusse Staub a lasciargli uno spazio all’interno del castello, dove visse per sette anni in tre stanze lasciate a sua disposizione.
Il castello è una vera fortezza, con 4 torri, 37 vani, 4 bagni. Una delle torri è andata distrutta. C’è pure una bella cappella ed una stanza a fianco con il confessionale. Nei sotterranei c’è una prigione, mentre risalendo le scale è collocata una finestrella dove venivano tenuti d’occhio i prigionieri. Sono rimasti i segni di un ponte levatoio.
Dalla torre si gode una vista mozzafiato.
Ci sono infine le segrete che Staub giura non avere mai trovato.
Nasce da una famiglia ebrea ed ucraina il dottor Lee ( all’anagrafe Ludvik) nel 1925 a Zabrow nei pressi di Usgorod.
“Non si affanni a cercare quel posto. Non figura nelle cartine geografiche”, osserva.
Disinvolto, con uno spiccato senso dell’umorismo, si trincera dietro ad un atteggiamento burbero che potrebbe spiazzare l’interlocutore.
Mi offre del gin. “ Nel mio minuscolo paesino di 100 anime-racconta- c’erano 14 famiglie, tutte sterminate dai nazisti”.
La sua era la più ricca. Venti polli, 2 vacche, e soprattutto la terra, garantivano cibo per tutto l’anno.
Cibo buono, pane buono.
Poi, con la guerra, iniziarono le persecuzioni. Prima suo padre, poi lui e suo fratello, finirono in galera. Quello che lo interrogava ogni due ore era il suo ex professore di ginnasio. Il fratello finirà ad Auschwitz con lui. La famiglia di Ludvik è stata quasi completamente sterminata. Per il fratello ha voluto una tomba nel Getsemani, così come per lui, per riposare in pace in Israele.
Sposato, 4 figli tutti residenti in Canada, crede nel trascendente e ci tiene a dire che ha avuto la visione di Carbonana 10 anni prima che acquistasse il castello.
Una vita senza tregua ed una svolta. Con alcuni ebrei polacchi decise di investire “quei pochi dollari che ci diedero una volta fuori dal lager; sa sapevo speculare col denaro”; diverranno nel giro di 3-4 mesi 3 milioni e mezzo di dollari.
Decide, ricco sfondato, di dare significato alla sua vita.
I soldi da soli non bastano a riempire l’esistenza.
Lee decide così di recarsi in Cecoslovacchia, a Praga, frequentando la facoltà di giurisprudenza, ma non si ambienta. Un anno dopo inizia medicina. Nel ’49 è costretto di nuovo a fuggire perché i russi entrati in Cecoslovacchia non tollerano la presenza di ebrei nel loro suolo. Giunge a Trani, deciso a partire per Israele,ma si lascia convincere a restare in Italia. Una borsa di studio l’aiuta a laurearsi in medicina a Torino, sostenuto da una coppia che in concreto l’adotta. Oggi continua a fare la spola tra Toronto e Gubbio, che ha eletto e luogo irrinunciabile per il relax.
La sua è una lunga storia fatta di momenti terribili e dell’agiatezza del dopoguerra. Nel racconto ci sono frammenti di vita vissuta che non si augurano al peggior nemico.
Nel 1942 è prelevato dalla Gestapo e portato in prigione. Nel febbraio del ’44 viene trasferito con un treno ad Auschwitz.
L’immagine? Stipati come sardine: 35 vagoni portavano 3.500 anime. Dopo 3 giorni di viaggio giungono davanti ad un enorme edificio che vomitava fiamme alte più di 30 metri. C’era un maleodore insopportabile di carne.
Chiesta la ragione di quello strano maleodore,non ci fu esitazione nel replicare che quella era una fabbrica di colla per scarpe.
Tutti dovevano scendere dai vagoni senza bagagliaio.
La fila si svolgeva davanti ad un bellissimo ed implacabile ragazzo, ricorda con sarcasmo Staub, che prendeva il nome di Mengele. Vengono da, lui smistati chi a destra e chi a sinistra.
Nel frattempo giunge la notte.
Sono spogliati; disinfettati con una schiuma, poi si vedono radere a zero i capelli. Fatta la doccia, danno loro dei pigiami. E’ eseguito il tatuaggio: A-9555.
“Delle 3.500 persone in quel treno-racconta Staub- solo in 150 sono sopravvissute”.
Dopo aver passato due giorni senza bere, vengono assegnate delle baracche e richieste persone per lavorare. Finiranno in una miniera di carbone.
Dodici ore di lavoro il giorno per un pasto. Zuppa con bietola ed un tozzo di pane. Erano in 3.500. Rimarranno un pugno dopo 6 settimane.
Prelevati di nuovo, sono portati nel campo Auschwitz numero 3. E’ importante capire che Auschwitz non è stato un campo di sterminio solo ebreo. In proporzione, dei 4ml e mezzo di morti, due erano sì ebrei, ma due milioni e mezzo d’altre confessioni religiose.”
Lavorò lì sino al 18 gennaio ’45. I sopravvissuti vengono di nuovi spostati. Per 12 giorni camminano senza toccare né acqua né cibo. Giungono nel campo di Ranienburg: temperature –20 gradi sotto zero, è intimato loro di spogliarsi nudi e di rimanere sull’attenti.
Molti moriranno la notte stessa.
Tre giorni dopo, spostati in un altro campo, verranno salvati dagli americani.
Lee mai ha dimenticato quel passato così crudo. Ha fatto la sua strada, brillantissima, negli studi, fino ad apprendere almeno 8 lingue ed esercitare con successo la professione di medico, a Toronto, in Canada.
E’ membro dell’Academy of Science di New York.
Ora sta terminando di scrivere un saggio d’economia politica. Ne è passata di acqua sotto i ponti.
I ricordi sono incancellabili, nel bene e nel male. La vita gli ha riservato tanto altro, però! Quando gli stringo la mano e me ne vado, penso a quegli anni in cui il gran film della vita faceva scorrere in bianco e nero la follia della dittatura di cui Staub è stato testimone.




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