Umbertide, città leader dell'accoglienza promuove la pace e il dialogo tra tutte le etnìe della città e del...mondo!
Sono sessantadue. 62 etnìe vivono a Umbertide. Nessun'altra città umbra può vantare un numero così elevato di cittadini "stranieri". L'incontro "Pace a Km 0. 1+1+1+1+...= La nostra forza. Colori, sapori ed emozioni delle 62 nazionalità presenti ad Umbertide" organizzato presso il centro culturale di San Francesco a partire dalle 17:30 di sabato 21 novembre è stato fortemente voluto dal Coordinamento per la Pace Umbertide – Montone – Lisciano Niccone, con il Coordinamento Enti Locali per la pace, "Tavola della Pace" e le scuole dei comuni interessati all'iniziativa.
Colpisce nel profondo un incontro voluto nell'immediato 13 novembre. La strage terroristica di Parigi ha lasciato il segno nei cuori delle persone così come fu quella dell'11 settembre 2001 a New York. Il mondo non fu più stato lo stesso dopo quella orribile devastazione.
L'Occidente capì qualcosa: che sarebbe stato sempre in pericolo e gli Stati Uniti per primi raccomandarono, cosa che sta avvenendo anche ora in Francia, alle persone di continuare a vivere la loro vita. Solo: sono trascorsi 14 anni da quell'appello lanciato all'allora intero mondo Occidentale dagli Stati Uniti.
Al tempo dell'attentato terroristico alle Torri Gemelle c'era a guidare il commando un gruppo di kamikaze di Al Qaeda struttura terroristica capeggiata da Osama bin Laden. Osama bin Laden super-ricercato in tutto il mondo sarebbe stato ucciso nel 2011.
Ora a prendere le redini del terrore il califfato islamico ISIS.
L'incontro di Umbertide ha avvicinato ancora di più una ciacolante, diversificata ma senz'altro unita e colorata comunità Umbertidese.
Sì. Come è stato detto anche durante l'incontro da uno dei relatori: "Una volta parlavamo con il nostro vicino di casa e era di Umbertide. Adesso il mondo è arrivato a Umbertide".
Ma chi sceglie Umbertide? E perché? Le realtà e le persone più diversificate. Un signore spagnolo ne è più che certo: "Sono stato scelto da Umbertide. Non sono io che ho scelto Umbertide".
Ok, ne vogliamo parlare? C'è un elite che sceglie la città. Parliamo di gente dello spettacolo, di scrittori e creativi o di chi ha fatto i soldi e ora vuol godersi in un angolo pacifico come è Umbertide gli anni della pensione.
Spesso c'è chi sceglie Umbertide per ragioni di lavoro.
Maria dall'Ucraina ricorda quando lasciò il suo Paese. E fu, naturalmente una scelta sofferta. "Che malinconia. Avevo le mie amiche, il nostro gruppo teatrale, la mia famiglia.Mi sono lasciata tutto alle spalle. Poi, sono arrivata qui e ho pensato: non conosco nessuno, non parlo la lingua. Che succederà? Come andrà? Invece sono stata accolta come una figlia dalla famiglia cui ero entrata a lavorare come badante e ora sono felice. I colori della città sono splendidi, i sapori...La pasta asciutta!!! Il sugo. Mi piace abitare a Umbertide."
Una signora finlandese è invece in Italia dal 1986. Certo: qui starà più al caldo signora. "No: unico neo negativo. Nonostante le basse temperature della Finlandia, le nostre case sono in legno e molto più calde. Qui appena arriva -3 bubboli dal freddo perché le case sono in pietra. A parte questo una città meravigliosa".
Parlare di integrazione con il mondo musulmano indispensabile perché la comunità musulmana è massiccia nella cittadina umbra.
Ho intervistato così due ragazze per sapere che cosa ne pensassero degli ultimi accadimenti di Parigi.
Hajar, 17 anni, frequenta il liceo linguistico. Ci tiene a precisare che "Quanto successo a Parigi non ha niente a che vedere con la nostra religione. La mia religione -così come tutte le altre - condanna l'omicidio.
Vede: essendo musulmana questi per me sono giorni particolari. A scuola sono spesso chiamata in causa per via della mia religione e di quanto successo a Parigi". Hajar spiega che "I musulmani nel mondo intero sono un miliardo e 700 milioni. Se tutti fossero terroristi succederebbe un pandemonio.. Sarebbe la fine".
Lei condanna gli attentati? "Certo. Il terrorismo è terribile. Non dobbiamo uccidere innocenti. Condanno quanto fatto con tutta me stessa. Solo: ogni giorno fatti sanguinosi così succedono da ogni altra parte del mondo, in Siria, Palestina, Libano però nessuno piange per la gente morta in quelle terre come è stato fatto per Parigi. Ogni giorno muoiono uccisi dai kamikaze tante persone in tutto il mondo". Per Hajar c'è una spiegazione logica a quanto fatto dagli attentatori: "Certo: l'Occidente aveva inviato missili in Siria. La Francia è stata la risposta dei terroristi". Hajar pensa che ci sia "Poco dialogo tra Oriente e Occidente".
Tra la comunità musulmana una certezza c'è: "Vi preghiamo: non chiamateli terroristi islamici. Quei mostri non fanno parte dell'Islam!"
Hind è una ragazza ventenne. Porta il velo, ha uno sguardo pieno di pace e frequenta la facoltà di giurisprudenza. Nonostate sia nata in Italia conserva tradizioni antiche e cominciamo da quelle.
Non le pare che vivendo in Italia ormai potrebbe pensare di togliere il velo? Non la vivrebbe come una liberazione?
"Metto il velo perché sono sottomessa a Dio".
Mi scusi ma non crede che essere sottomessi a una persona oppure a un'entità sia alquanto scomodo?
Non dovrebbe essere fatta una legge che imponga di togliere il velo? Lei come reagirebbe?
"Sono contraria a togliere il velo. L'Islam non è, vede, solo una religione, ma uno stile di vita. In realtà non faccio parte dell'Islam moderato. Non c'è un Islam moderato e uno progressista. L'Islam è l'Islam. E vede: abbiamo il libero arbitrio. Possiamo o non possiamo mettere il velo".
Parliamo di Parigi....
"Un crimine che va condannato. Sono dei delinquenti che usano la religione per uccidere. Potrà pure trovare accanto ai comodini dei terroristi il Corano ma quella non è la nostra gente".
Giuseppina Gianfranceschi ha poi preso la parola e aperto la sessione di lavoro. "Questo il nostro dev'essere uno sforzo culturale importante. La convivenza tra di noi darà seguito a un mondo migliore".
Ha poi ribadito Giuseppina Gianfranceschi come Umbertide sia una città della pace.
"Finora pensavamo che dovevamo accogliere. Ora pensiamo che sia arrivata l'ora del non-offendere. Dobbiamo ripartire da noi stessi per essere credibili. Le nostre differenze di usi e costumi non devono essere motivo di divisione".
Anche noi Occidentali abbiamo accolto tradizioni straniere. La Gianfranceschi ricorda accadde dopo la seconda guerra mondiale.
Gli Americani lasciarono con la cioccolata, e altre cose "Anche Babbo Natale, Halloween - una festa di più recente celebrazione - l'albero di Natale. Sono feste che abbiamo voluto, che ci sono piaciute e che abbiamo accolto a braccia aperte. Abbiamo la possibilità di scegliere e non di rinunciare. Solo con il dialogo eviteremo altri scontri".
Depreca l'utilizzo di armi in mano ai bambini, Giuseppina, così come un no forte all'intolleranza e al non-capire. "I diritti sono uguali per tutti".
Annamaria Boldrini dell'Istituto Superiore Leonardo Da Vinci sottolinea che nella loro scuola 180 ragazzi non sono italiani.
Flavio Lotti: "Siamo qui stasera per ri-conoscerci" attacca. "Ricordiamo i valori fondanti della rivoluzione francese: Liberté, Egalité, Fraternité. Mentre la prima parola è inflazionata e durante questi decenni molto è stato fatto in termini di libertà, le parole uguaglianza e fraternità scomparse dal nostro "dizionario emotivo". Ma la chiave per uscire dalla situazione orribile in cui siamo entrati sta lì".
Che cosa distrugge il mondo? Il signor Lotti pensa siano i soldi.
"I soldi con il tempo sono diventati la cosa più importante. Così, in un clima di costante competizione siamo diventati sordi".
Umbertide prima e ora.
"Una volta i nostri abitanti conoscevano solo i vicini di casa. Umbri come loro. Del posto come loro. Ora Umbertide è il mondo. Nel futuro chi vincerà sarà chi sarà capace di interagire con il resto del mondo, chi sarà in grado di parlare con un mondo culturalmente più ampio".
Ma quante sono le etnìe presenti a Umbertide?
Irlandesi, inglesi, americani, canadesi, Scozzesi, arabi dal Mali, dal Marocco, dall'Angola, e poi greci, Lituani, finlandesi, tedeschi, austriaci, australiani. Pensate uno Stato e probabilmente a Umbertide ci sarà un abitante.
Susan una delle testimonial del filmato televisivo curato da Valentina Santucci proviene da Detroit, Michigan, Stati Uniti e racconta la sua storia personale.
"I miei provenivano dal Cadore, in Veneto. Nel 1960 feci con mio marito il primo viaggio in Italia. Successivamente abbiamo pensato di acquistare una casa, ma era impensabile prenderla in Cadore. Troppo freddo. Così, grazie a un'amica comune che aveva comperato qui, abbiamo scoperto Umbertide. Un posto perfetto. La campagna, il Tevere, il centro storico. Ci avete spalancato le braccia. Grazie".
Samira è araba e viveva a Casablanca, Marocco.
"La mia è la prima generazione a Umbertide. Qui sono nate le mie due figlie. Lo considero un luogo tranquilllo e di pace. Faccio parte del Centro Culturale Islamico della città e faccio fatica a trovare le parole giuste per quanto hanno fatto i terroristi. Questi avvenimenti non hanno niente a che fare con l'Islam. La nostra religione parla di pace, misericordia e perdono. Islam deriva da Salem che vuol dire Pace". Eppure Samira tra le righe dice qualche cosa di molto importante: "Il problema è molto serio e complesso. Se non saremo integrati avremo problemi seri. Dovremmo tornare alle nostre identità, ai nostri valori, anche se la nostra nazionalità è diversa".
Graziano invece è un esempio di integrazione di un abitante di Umbertide fuori regione. Vive e lavora a Trento e torna in città per trovare i suoi parenti. Racconta che spera tutti possano avere una famiglia variegata e disseminata in tutta Italia come è successo a lui. E che le differenze che ancora attanagliano non solo l'Oriente e l'Occidente ma anche il Nord e il Sud Italia prima o poi vengano a scemare.
Un signore spagnolo invece afferma: "Dobbiamo essere più spirituali. La religione è stata creata dagli uomini. Siamo tutti uguali".
Dialogo aperto, il consesso poi si è spostato nell'area buffet dove è stato possibile assaggiare pietenze provenienti da Marocco, Albania, Austria, Stati Uniti, Finlandia, Ucraina, Germania e così via dialogando e stringendo nuove amicizie in un clima di festosa allegria.
Anna Maria Polidori
In love for Books, here you'll find my reviews! ❤️ ❤️ ❤️
Saturday, November 21, 2015
Sunday, November 08, 2015
La corrispondenza una storia del passato?
Paradossalità dell'Era di Internet. La gente dimentica il passato recente
Alcune settimane fa sono rimasta sconvolta dalla scoperta della morte di un mio corrispondente con cui sono rimasta in contatto per 15 anni e a cui durante questi anni ho sempre pensato.
Iniziai a corrispondere per gioco e rabbia. Ero stata bocciata a inglese nel 1992. Indirizzi passati da una mia amica sarda, Tatiana, di ragazze del Nord Europa, la faccenda mi appassionò e così contattai lo USIS - United States International Studies - una branca della biblioteca dell'Ambasciata americana, che mi rifornì di indirizzi di associazioni di pen-friends.
Nel giro di alcuni mesi trovai amici a NYC, in Pennsylvania, Michigan, Missouri, Seattle, California.
Era bello ricevere e inviare lettere.
Colorate, allegre.
Ci ricordavamo del nostro compleanno e ci inviavamo biglietti d'auguri. Stessa cosa per Natale. E poi ci raccontavamo le nostre rispettive vite. Quello che ci succedeva insomma.
Con una mia corrispondente Maria, abbiamo addirittura condiviso uno share book. Come funziona?
Il primo share book Maria lo acquistò da "Circle Journey".
Idea suggestiva.
Un piccolo libretto dove è possibile inviare e attaccare di tutto. In passato spiegava il sito Circle Journey, c'era chi creava questi libretti e poi li inviava a parenti lontani, creando una forte connessione di notizie, ricette, foto, e quant'altro. Potevi includere tre, quattro, cinque persone.
Un modo originale per restare in contatto con parenti distanti.
Avevo personalizzato il Circle Journey spillando due pagine insieme e avevo creato una busta che chiamavamo assieme a Maria "L'angolo del tè".
Inviavo delle bustine di tè a Maria e lei faceva lo stesso. Maria beve dell'ottimo Tazo. Io il Twinings.
Ci raccontavamo quel che succedeva.
Il secondo libro è ancora qui, perché gli ultimi anni sono stati funestati da così tante tragedie. Fui costretta a dire alla mia corrispondente: "Non ce la faccio proprio. Non voglio inviarti la notizia di un funerale dopo l'altro. Attendiamo tempi migliori e notizie positive".
La morte del mio corrispondente mi ha permesso di rileggere molta della corrispondenza ricevuta.
Era così preziosa. Toccante.
Tutte noi e tutti noi eravamo motivati da qualche proposito nella ricerca di corrispondenti e non lo facevamo opportunisticamente, no, ma per il grande desiderio che sentivamo di avere amici lontani.
Non volevamo il tutto e subito di adesso che stanca, logora e fa passare oltre in un secondo senza dare importanza all'unicità dell'esistenza di un essere umano.
Sono stata scelta dai miei corrispondenti e quando ho ricevuto le lettere ho scelto chi far entrare e chi no. Ci sono state due persone a cui non ho risposto. Il corrispondente, l'amico di penna sceglieva e già questo faceva la differenza.
Io volevo nuovi amici per migliorare il mio inglese e scoprire gli Stati Uniti. Dagli Stati Uniti c'era la curiosità per l'Italia.
Tutto qui. Però...Vi sembra poco come base di partenza?
Gina, del Michigan ha origini italiane.
Loida che viveva negli anni '90 a Brooklyn voleva migliorare il suo italiano, (di fatto abbiamo sempre corrisposto in inglese e purtroppo quando gli inviai il libro di grammatica italiana mi tornò indietro perché Loida era in Honduras e le poste dopo un pò di giacenza rinviano al destinatario) i nonni di Carolyn, la mia corrispondente del Missouri, siculi, Sharon dalla Pennsylvania cercava una corrispondente italiana perché qualcuno le aveva detto che noi italiani siamo brava gente :-) Grande complimento, grazie Sharon!
Eravamo corrispondenti seri e sapevamo quanto fosse prezioso per l'altra persona ricevere che so? una bella cartolina, delle foto carine...
Ne vogliamo parlare? Sì, dài, parliamo delle foto.
Care vecchie foto che dovevi andare a stampare dal fotografo, che costavano anche care. Lo facevamo per una buona causa.
Erano ncessarie per far capire come vivevi, dove vivevi, qual'era la tua vita. Mica c'era Instagram o Facebook.
MarieLouise mise subito in chiaro dalla prima lettera che voleva venire a trovarmi con un programma di homestay, creato da lei. Voleva girare e conoscere l'Europa infatti. "Poi ti ospiterò anch'io". Mi riempì di foto. L'area dove vive, Aptos, Monterey, meravigliosa. La sua vita americana mi appariva bellissima. Feci lo stesso con me e il mio mondo. Marie è stata qui già due volte. Speriamo prima o poi di rivederci.
Poi tanti pensierini. Piccoli oggetti che dagli Stati Uniti sono arrivati sin qui e viceversa.
Internet a inizio degli anni '90 era una novità che stava cominciando a prendere piede negli USA però non ancora in forma così dilangante.
La più informatica di tutti i miei corrispondenti, Gina dal Michigan. Mi inviò il floppy disk di AOL. "Non so se in Italia avete internet. Se puoi però installa AOL. Possiamo chattare e scambiarci e-mails. Qualcosa di formidabile".
Eppure...Eppure...
Questo nuovo metodo di comunicazione, veloce, immediato ha ucciso di fatto la parola scritta, la scrittura e reso tutti noi più febbricitanti, smaniosi e ansiosi.
Superficialità? Forse, certo, e desiderio del nuovo quando non abbiamo forse capito una cosa: che l'unicità di un rapporto di amicizia non può essere replicato all'infinito.
Il mio corrispondente morto non potrà mai essere rimpiazzato con un altro, perché niente sarebbe uguale.
Internet a paragone della vecchia e cara corrispondenza non è molto serio. O meglio: non sempre. Quando lo è pensi: Dio, ti ringrazio.
Ma quando non lo è, è una jungla.
Sì perché una persona dall'altra parte può creare alias, può dirti di essere Mario e invece chiamarsi Augusta. Può farti credere fischi per fiaschi.
Ok: possibile che accada anche con la corrispondenza normale, ma in tal caso non verrebbe mai meno la sincerità di fondo perché un indirizzo è tracciabile e la persona non può essere un fantasma qualora serva sapere qualche cosa di più.
E poi...
Vuoi mettere l'impatto emotivo di una lettera rispetto a una e-mail?
Una lettera o una cartolina, magari di istituzioni prestigiose come la Dover publications, la Hallmark, American Greetings, Victoria Greetings, ha un impatto diverso.
Prima di tutto la bellezza dell'immagine ricevuta, la sensazione tattile, l'odore della carta, lo scritto. Qualche cosa che rimane a casa e non dentro una macchina.
Puoi stampare un'e-mail ma non è come leggere una lettera.
Una lettera è qualche cosa di privato che nessuna terza parte o quarta o quinta persona leggerà. Sarà qualche cosa di nostro, di privato che condivideremo con gli altri se lo vorremo.
Si sa che internet non è il luogo più sicuro per comunicare. Casi recenti hanno rivelato come alcune e-mails intercettate siano state fonte di imbarazzo per personaggi pubblici.
Ma chiediamoci: in un mondo così connesso dove c'è perfino chi non stacca mai internet tornare al passato è possibile?
Vediamo a che punto siamo arrivati e partiamo...dalle pulizie di casa.
Alla morte del mio corrispondente ho riordinato il cassetto dove ripongo stickers e carta da lettere. Il periodo più bello della mia esistenza va dal 1994 al 2001. Ho tolto tutto il materiale accumulato dopo, (non erano lettere ma foto etc), e l'ho riposto in un altro cassetto.
"Quando vorrò deprimermi, aprirò questo", ho pensato.
Non so: ma durante quegli anni, dal 1994 al 2001 il mondo era una bellissima possibilità per tutti noi.
Sì: c'era un incanto che adesso non c'è più e una leggerezza assolutamente scomparsa dopo. E non volevo intristirmi.
Avevo bisogno di tornare a ri-sincronizzare la mia stabilità emotiva.
Ho tenuto nel cassetto della corrispondenza però l'aquila piangente che mi ha inviato Gina dopo la caduta delle Torri. Quello è stato il punto di rottura.
Il mondo, dopo, non sarebbe più stato lo stesso.
Ho poi spostato la mia scrivania, rimosso dalla stanza i libri che la popolavano.
Intanto mi sono accorta che, sebbene avessi diversi biglietti natalizi dentro il cassetto della corrispondenza forse era il caso di tornare a comperare un pò più carta per la corrispondenza.
Mi reco in questo primo negozio della mia città e chiedo la carta da lettere.
Il ragazzo circa 17-18 anni, mentre chatta sullo smart phone mi fa: "A che cosa serve?"
Whatsup, SnapChat, Facebook, Twitter, hanno ucciso perfino il pensiero delle lettere. I giovani non sanno più che cosa siano.
Con i gestori della cartolibreria dove acquistavo anche i testi scolastici alle superiori ne abbiamo parlato. La nostra età è diversa e per dindirindina non siamo mica Matusalemme. I più giovani connessi solo con internet. È giusto? Sano? Ne vogliamo parlare?
Questa dimenticanza del passato investe però solo i giovani o sta drammaticamente coinvolgendo tutti?
Mi reco a una mostra di pittura in un'altra città della mia regione. "E dài, vediamo un pò qui come butta".
Mica tanto bene.
Entro in una prima tabaccheria prestigiosa.
Il gestore mi mostra una marea di carta da lettere, sebbene, affermi, "Ormai non scrive più nessuno e trovo la cosa imbarazzante e non le dico gli errori di ortografia che vengono commessi. La a senza acca davanti ai verbi. Tutti abbreviano, nessuno ricorda. Sa perché? Nessuno legge più".
Il gestore della tabaccheria mi parla di suo figlio e di quanto abbia faticato a spronarlo alla lettura.
"Per fortuna ora ci sono riuscito. Legge. E glielo dico sempre: non hai capito che tutta questa tecnologia ti intorpidisce? E scrivi e leggi! come facevamo noi un tempo che è meglio e è più sano".
Secondo questo signore viene smarrita la forza potente delle parole: "Chiedono a me di scrivere importanti messaggi d'amore o di amicizia. A volte non conosco chi mi sta di fronte e penso: dovrebbero farlo loro. Perché la forza della parola scritta deve essere così svilita a mortificata? Per non dire scomparsa? Perché le emozioni sono ridotte all'osso?"
Una signora invece focalizza sull'incomunicabolità dei partners.
"Li vedi camminare fianco a fianco. Ciascuno con lo smart phone, messaggiare in solitario. Chissà: forse si scrivono ma non dialogano".
Nella terza tabaccheria in cui entro mi viene chiesto come sia fatta la carta da lettere e se stia parlando di cartoncini grandi per ringraziare qualcuno.
"No: vorrei la carta da lettere. Un tempo veniva usata per scambiare pensieri con un'altra persona. Ha un formato più grande rispetto ai cartoncini o ai biglietti d'auguri e è più fina".
Un sottile panico mi attraversa. Possibile che nessuno ricordi niente o abbia più nulla del genere?
Possibile che la tecnologia abbia fagocitato tutto e spazzato via il vecchio mondo nel giro di poco più di dieci anni? Antiche tradizioni che sopravvivevano da secoli cancellate dalla memoria collettiva?
C'è chi ricorda con affetto la carta da lettere. "C'era perfino la carta da lettere profumata. Che bei tempi".
Eppure, a mio parere, questo cambio di abitudini fa impressione.
È stato scoperto di recente ad esempio che l'assenza della scrittura manuale da parte della gente assopisce e addormenta aree cerebrali che andrebbero stimolate di più ma che solo l'utilizzo manuale della scrittura può continuare a rendere fertili e attive.
Avete notato gli errori che commettiamo quando scriviamo a mano abituati come siamo all'utilizzo delle tastiere dei pc o degli smart phones? Il cervello è programmato per la velocità e non riesce più a stare "tranquillo" e dimentica le lettere o le salta.
Forse non possiamo più tornare indietro e rinunciare a comodità come la posta elettronica e qualche social network, ma sarebbe anche giusto non perdere la poesia del passato e tornare a una sana normalità che conosce ritmi scanditi da: scrittura, impostazione, ricevimento dopo alcuni giorni da parte del destinatario della lettera, lettura e risposta.
Magari un diario da scrivere a mano la sera prima di andare a dormire può essere un'altra idea.
È stato solo internet ad affossare la corrispondenza?
Una grande mano è giunta dalle tariffe postali verso l'estero attuate dal nostro Paese.
Non la scelta più felice. Già noi italiani scriviamo poco, se poi non possiamo manco più per ragioni economiche...
Alcuni anni fa le AREE B (Canada, Usa, Asia) e C (Australia e Nuova Zelanda) del mondo, come vengono distinte all'ufficio postale videro triplicare l'importo dei francobolli per la spedizione di una lettera da 20 grammi o di una semplice cartolina.
Per spedire negli Stati Uniti passammo dagli 0,85 cents ai due euro. Tariffe arrivate sino a 2,30 e ora leggermente scese a 2,20 lo scorso ottobre.
Il nostro è un Paese in crisi.
La voce corrispondenza tagliata via subito perché invece di spendere due euro per spedire una lettera con quei soldi possiamo comperare una fila di pane, un litro di latte.
La Germania ha adottato una politica del tutto opposta alla nostra per i corrispondenti.
I suoi abitanti sono avidi postcrossers, amano cioè inviare e ricevere cartoline tramite il postcrossing.
I francobolli anche per l'estero non hanno mai subìto impennate e l'affrancatura anche e soprattutto delle cartoline in Europa dovrebbe essere sempre ferma agli 0,80 cents se non vado errata.
Il governo tedesco così facendo sa che sta aiutando le poste a far girare più soldi.
Forse, il segreto è tutto lì.
Anna Maria Polidori
Alcune settimane fa sono rimasta sconvolta dalla scoperta della morte di un mio corrispondente con cui sono rimasta in contatto per 15 anni e a cui durante questi anni ho sempre pensato.
Iniziai a corrispondere per gioco e rabbia. Ero stata bocciata a inglese nel 1992. Indirizzi passati da una mia amica sarda, Tatiana, di ragazze del Nord Europa, la faccenda mi appassionò e così contattai lo USIS - United States International Studies - una branca della biblioteca dell'Ambasciata americana, che mi rifornì di indirizzi di associazioni di pen-friends.
Nel giro di alcuni mesi trovai amici a NYC, in Pennsylvania, Michigan, Missouri, Seattle, California.
Era bello ricevere e inviare lettere.
Colorate, allegre.
Ci ricordavamo del nostro compleanno e ci inviavamo biglietti d'auguri. Stessa cosa per Natale. E poi ci raccontavamo le nostre rispettive vite. Quello che ci succedeva insomma.
Con una mia corrispondente Maria, abbiamo addirittura condiviso uno share book. Come funziona?
Il primo share book Maria lo acquistò da "Circle Journey".
Idea suggestiva.
Un piccolo libretto dove è possibile inviare e attaccare di tutto. In passato spiegava il sito Circle Journey, c'era chi creava questi libretti e poi li inviava a parenti lontani, creando una forte connessione di notizie, ricette, foto, e quant'altro. Potevi includere tre, quattro, cinque persone.
Un modo originale per restare in contatto con parenti distanti.
Avevo personalizzato il Circle Journey spillando due pagine insieme e avevo creato una busta che chiamavamo assieme a Maria "L'angolo del tè".
Inviavo delle bustine di tè a Maria e lei faceva lo stesso. Maria beve dell'ottimo Tazo. Io il Twinings.
Ci raccontavamo quel che succedeva.
Il secondo libro è ancora qui, perché gli ultimi anni sono stati funestati da così tante tragedie. Fui costretta a dire alla mia corrispondente: "Non ce la faccio proprio. Non voglio inviarti la notizia di un funerale dopo l'altro. Attendiamo tempi migliori e notizie positive".
La morte del mio corrispondente mi ha permesso di rileggere molta della corrispondenza ricevuta.
Era così preziosa. Toccante.
Tutte noi e tutti noi eravamo motivati da qualche proposito nella ricerca di corrispondenti e non lo facevamo opportunisticamente, no, ma per il grande desiderio che sentivamo di avere amici lontani.
Non volevamo il tutto e subito di adesso che stanca, logora e fa passare oltre in un secondo senza dare importanza all'unicità dell'esistenza di un essere umano.
Sono stata scelta dai miei corrispondenti e quando ho ricevuto le lettere ho scelto chi far entrare e chi no. Ci sono state due persone a cui non ho risposto. Il corrispondente, l'amico di penna sceglieva e già questo faceva la differenza.
Io volevo nuovi amici per migliorare il mio inglese e scoprire gli Stati Uniti. Dagli Stati Uniti c'era la curiosità per l'Italia.
Tutto qui. Però...Vi sembra poco come base di partenza?
Gina, del Michigan ha origini italiane.
Loida che viveva negli anni '90 a Brooklyn voleva migliorare il suo italiano, (di fatto abbiamo sempre corrisposto in inglese e purtroppo quando gli inviai il libro di grammatica italiana mi tornò indietro perché Loida era in Honduras e le poste dopo un pò di giacenza rinviano al destinatario) i nonni di Carolyn, la mia corrispondente del Missouri, siculi, Sharon dalla Pennsylvania cercava una corrispondente italiana perché qualcuno le aveva detto che noi italiani siamo brava gente :-) Grande complimento, grazie Sharon!
Eravamo corrispondenti seri e sapevamo quanto fosse prezioso per l'altra persona ricevere che so? una bella cartolina, delle foto carine...
Ne vogliamo parlare? Sì, dài, parliamo delle foto.
Care vecchie foto che dovevi andare a stampare dal fotografo, che costavano anche care. Lo facevamo per una buona causa.
Erano ncessarie per far capire come vivevi, dove vivevi, qual'era la tua vita. Mica c'era Instagram o Facebook.
MarieLouise mise subito in chiaro dalla prima lettera che voleva venire a trovarmi con un programma di homestay, creato da lei. Voleva girare e conoscere l'Europa infatti. "Poi ti ospiterò anch'io". Mi riempì di foto. L'area dove vive, Aptos, Monterey, meravigliosa. La sua vita americana mi appariva bellissima. Feci lo stesso con me e il mio mondo. Marie è stata qui già due volte. Speriamo prima o poi di rivederci.
Poi tanti pensierini. Piccoli oggetti che dagli Stati Uniti sono arrivati sin qui e viceversa.
Internet a inizio degli anni '90 era una novità che stava cominciando a prendere piede negli USA però non ancora in forma così dilangante.
La più informatica di tutti i miei corrispondenti, Gina dal Michigan. Mi inviò il floppy disk di AOL. "Non so se in Italia avete internet. Se puoi però installa AOL. Possiamo chattare e scambiarci e-mails. Qualcosa di formidabile".
Eppure...Eppure...
Questo nuovo metodo di comunicazione, veloce, immediato ha ucciso di fatto la parola scritta, la scrittura e reso tutti noi più febbricitanti, smaniosi e ansiosi.
Superficialità? Forse, certo, e desiderio del nuovo quando non abbiamo forse capito una cosa: che l'unicità di un rapporto di amicizia non può essere replicato all'infinito.
Il mio corrispondente morto non potrà mai essere rimpiazzato con un altro, perché niente sarebbe uguale.
Internet a paragone della vecchia e cara corrispondenza non è molto serio. O meglio: non sempre. Quando lo è pensi: Dio, ti ringrazio.
Ma quando non lo è, è una jungla.
Sì perché una persona dall'altra parte può creare alias, può dirti di essere Mario e invece chiamarsi Augusta. Può farti credere fischi per fiaschi.
Ok: possibile che accada anche con la corrispondenza normale, ma in tal caso non verrebbe mai meno la sincerità di fondo perché un indirizzo è tracciabile e la persona non può essere un fantasma qualora serva sapere qualche cosa di più.
E poi...
Vuoi mettere l'impatto emotivo di una lettera rispetto a una e-mail?
Una lettera o una cartolina, magari di istituzioni prestigiose come la Dover publications, la Hallmark, American Greetings, Victoria Greetings, ha un impatto diverso.
Prima di tutto la bellezza dell'immagine ricevuta, la sensazione tattile, l'odore della carta, lo scritto. Qualche cosa che rimane a casa e non dentro una macchina.
Puoi stampare un'e-mail ma non è come leggere una lettera.
Una lettera è qualche cosa di privato che nessuna terza parte o quarta o quinta persona leggerà. Sarà qualche cosa di nostro, di privato che condivideremo con gli altri se lo vorremo.
Si sa che internet non è il luogo più sicuro per comunicare. Casi recenti hanno rivelato come alcune e-mails intercettate siano state fonte di imbarazzo per personaggi pubblici.
Ma chiediamoci: in un mondo così connesso dove c'è perfino chi non stacca mai internet tornare al passato è possibile?
Vediamo a che punto siamo arrivati e partiamo...dalle pulizie di casa.
Alla morte del mio corrispondente ho riordinato il cassetto dove ripongo stickers e carta da lettere. Il periodo più bello della mia esistenza va dal 1994 al 2001. Ho tolto tutto il materiale accumulato dopo, (non erano lettere ma foto etc), e l'ho riposto in un altro cassetto.
"Quando vorrò deprimermi, aprirò questo", ho pensato.
Non so: ma durante quegli anni, dal 1994 al 2001 il mondo era una bellissima possibilità per tutti noi.
Sì: c'era un incanto che adesso non c'è più e una leggerezza assolutamente scomparsa dopo. E non volevo intristirmi.
Avevo bisogno di tornare a ri-sincronizzare la mia stabilità emotiva.
Ho tenuto nel cassetto della corrispondenza però l'aquila piangente che mi ha inviato Gina dopo la caduta delle Torri. Quello è stato il punto di rottura.
Il mondo, dopo, non sarebbe più stato lo stesso.
Ho poi spostato la mia scrivania, rimosso dalla stanza i libri che la popolavano.
Intanto mi sono accorta che, sebbene avessi diversi biglietti natalizi dentro il cassetto della corrispondenza forse era il caso di tornare a comperare un pò più carta per la corrispondenza.
Mi reco in questo primo negozio della mia città e chiedo la carta da lettere.
Il ragazzo circa 17-18 anni, mentre chatta sullo smart phone mi fa: "A che cosa serve?"
Whatsup, SnapChat, Facebook, Twitter, hanno ucciso perfino il pensiero delle lettere. I giovani non sanno più che cosa siano.
Con i gestori della cartolibreria dove acquistavo anche i testi scolastici alle superiori ne abbiamo parlato. La nostra età è diversa e per dindirindina non siamo mica Matusalemme. I più giovani connessi solo con internet. È giusto? Sano? Ne vogliamo parlare?
Questa dimenticanza del passato investe però solo i giovani o sta drammaticamente coinvolgendo tutti?
Mi reco a una mostra di pittura in un'altra città della mia regione. "E dài, vediamo un pò qui come butta".
Mica tanto bene.
Entro in una prima tabaccheria prestigiosa.
Il gestore mi mostra una marea di carta da lettere, sebbene, affermi, "Ormai non scrive più nessuno e trovo la cosa imbarazzante e non le dico gli errori di ortografia che vengono commessi. La a senza acca davanti ai verbi. Tutti abbreviano, nessuno ricorda. Sa perché? Nessuno legge più".
Il gestore della tabaccheria mi parla di suo figlio e di quanto abbia faticato a spronarlo alla lettura.
"Per fortuna ora ci sono riuscito. Legge. E glielo dico sempre: non hai capito che tutta questa tecnologia ti intorpidisce? E scrivi e leggi! come facevamo noi un tempo che è meglio e è più sano".
Secondo questo signore viene smarrita la forza potente delle parole: "Chiedono a me di scrivere importanti messaggi d'amore o di amicizia. A volte non conosco chi mi sta di fronte e penso: dovrebbero farlo loro. Perché la forza della parola scritta deve essere così svilita a mortificata? Per non dire scomparsa? Perché le emozioni sono ridotte all'osso?"
Una signora invece focalizza sull'incomunicabolità dei partners.
"Li vedi camminare fianco a fianco. Ciascuno con lo smart phone, messaggiare in solitario. Chissà: forse si scrivono ma non dialogano".
Nella terza tabaccheria in cui entro mi viene chiesto come sia fatta la carta da lettere e se stia parlando di cartoncini grandi per ringraziare qualcuno.
"No: vorrei la carta da lettere. Un tempo veniva usata per scambiare pensieri con un'altra persona. Ha un formato più grande rispetto ai cartoncini o ai biglietti d'auguri e è più fina".
Un sottile panico mi attraversa. Possibile che nessuno ricordi niente o abbia più nulla del genere?
Possibile che la tecnologia abbia fagocitato tutto e spazzato via il vecchio mondo nel giro di poco più di dieci anni? Antiche tradizioni che sopravvivevano da secoli cancellate dalla memoria collettiva?
C'è chi ricorda con affetto la carta da lettere. "C'era perfino la carta da lettere profumata. Che bei tempi".
Eppure, a mio parere, questo cambio di abitudini fa impressione.
È stato scoperto di recente ad esempio che l'assenza della scrittura manuale da parte della gente assopisce e addormenta aree cerebrali che andrebbero stimolate di più ma che solo l'utilizzo manuale della scrittura può continuare a rendere fertili e attive.
Avete notato gli errori che commettiamo quando scriviamo a mano abituati come siamo all'utilizzo delle tastiere dei pc o degli smart phones? Il cervello è programmato per la velocità e non riesce più a stare "tranquillo" e dimentica le lettere o le salta.
Forse non possiamo più tornare indietro e rinunciare a comodità come la posta elettronica e qualche social network, ma sarebbe anche giusto non perdere la poesia del passato e tornare a una sana normalità che conosce ritmi scanditi da: scrittura, impostazione, ricevimento dopo alcuni giorni da parte del destinatario della lettera, lettura e risposta.
Magari un diario da scrivere a mano la sera prima di andare a dormire può essere un'altra idea.
È stato solo internet ad affossare la corrispondenza?
Una grande mano è giunta dalle tariffe postali verso l'estero attuate dal nostro Paese.
Non la scelta più felice. Già noi italiani scriviamo poco, se poi non possiamo manco più per ragioni economiche...
Alcuni anni fa le AREE B (Canada, Usa, Asia) e C (Australia e Nuova Zelanda) del mondo, come vengono distinte all'ufficio postale videro triplicare l'importo dei francobolli per la spedizione di una lettera da 20 grammi o di una semplice cartolina.
Per spedire negli Stati Uniti passammo dagli 0,85 cents ai due euro. Tariffe arrivate sino a 2,30 e ora leggermente scese a 2,20 lo scorso ottobre.
Il nostro è un Paese in crisi.
La voce corrispondenza tagliata via subito perché invece di spendere due euro per spedire una lettera con quei soldi possiamo comperare una fila di pane, un litro di latte.
La Germania ha adottato una politica del tutto opposta alla nostra per i corrispondenti.
I suoi abitanti sono avidi postcrossers, amano cioè inviare e ricevere cartoline tramite il postcrossing.
I francobolli anche per l'estero non hanno mai subìto impennate e l'affrancatura anche e soprattutto delle cartoline in Europa dovrebbe essere sempre ferma agli 0,80 cents se non vado errata.
Il governo tedesco così facendo sa che sta aiutando le poste a far girare più soldi.
Forse, il segreto è tutto lì.
Anna Maria Polidori
Friday, October 23, 2015
Finché le stelle saranno in cielo - Recensione
La prima cosa che ho fatto una volta terminato di leggere il libro di Kristin Harmel "Finché le stelle saranno in cielo" edito da Garzanti Libri titolo inglese The sweetness of forgiveness (La dolcezza del perdono) è stata quella di preparare una delle ricette succulente di biscotti che sono nel libro.
Non ho esitato: teglie di biscotti con cannella e mandorle.
Era il 13 settembre.
Non ho scelto a caso la ricetta. La cannella avvicina gli amici e allontana i nemici, una delle spezie che amo di più. Allegra e pungente, serena e sempre allegra. La mandorla avvolge, culla e coccola con quel sapore forte e persistente.
Il risultato finale? Una specie di amaretti in stile americano, davvero buoni e golosi!
Ogni due capitoli Kristin Harmel offre ricette golose del Massachusetts che provengono da culture disparate come verrà rivelato in seguito e che sono le specialità di Hope.
Non vi avevo ancora parlato di Hope?
Ah già, no: che distratta.
Hope è una donna di 35 anni incasinata il giusto e con una pasticceria sull'orlo del fallimento.
Vive a Cape Cod ridente cittadina del Massachusetts. Le sue ricette sono così apprezzate da figurare ogni anno nel Boston Globe e in altri periodici di spessore del suo Stato. Perché tanta fama? Semplice. La sua pasticceria è a conduzione familiare. Lei l'ha semplicemente ereditata da sua madre e sua madre da sua nonna Rose. Una formula vincente.
Hope ha una figlia, Annie, il personaggio del libro che preferisco fra tutti, dodicenne in guerra con il mondo e ha divorziato da suo marito che ora esce con una ventenne viziata che si chiama Sunshine. .
Sua nonna Rose ormai è ricoverata in un ospizio.
Rose sta perdendo la memoria oppure, se vogliamo, la sta ritrovando.
Fruga infatti in quel passato remoto che non può dimenticare, in cerca dei protagonisti principali della sua esistenza.
Gente che nessuno conosce, di cui nessuno ha memoria nella sua famiglia.
Chi però si interessa di più a Rose è la figlia di Hope, Annie.
Ci passa del tempo, la nonna le fa confidenze e le comunica nomi che a Annie, la figlia di Hope non dicono niente così come manco a Hope, ma che scatenano le ire dell'adolescente: "Santo cielo mamma vuoi andare anche tu a fare una chiacchierata con la nonna per capirci qualcosa o non te ne frega niente?"
Hope ci va. Da quella chiacchierata capisce tante cose perché sua nonna quel giorno è lucida.
Capisce che le religioni monoteistiche hanno più punti in comune di quanti pensiamo; che la nonna forse, sta celando una storia più grande di lei.
Hope non può più ignorare quanto sa.
Decide, aiutata da un amico di partire per Parigi, dove scoprirà quanto sia dolce e struggente il ricordo di qualcuno ritenuto perso per sempre scoprendo che la pace passa attraverso l'amore, il conforto, e il ricongiungimento.
Questa è una storia romantica, che parla di un amore senza fine. Una storia che scuoterà gli animi con altre due parole essenziali: aiuto e accettazione.
I cattolici e i musulmani parigini in soccorso degli ebrei durante l'ultimo conflietto mondiale.
Toccante e indimenticabile.
La ricetta dei biscotti con cannella e mandorle
200 grammi di burro
330 grami di zucchero di canna
2 uova grandi
1 cucchiaino di estratto di mandorle
320 gr di farina
1 cucchiaino di lievito in polvere
1 cucchiaino di sale
200 gr di zucchero misto a cannella. Fate così: tre parti di zucchero e una di cannella. Vi servierà alla fine.
Montate burro e zucchero di canna fino a che non otterrete una consistenza cremosa. Aggiungete uova e estratto di mandorle. Amalgamate il tutto.
In un altro recipiente avrete messo intanto gli ingredienti secchi: farina, lievito e sale.
Bene: aggiungeteli al composto.
Ora dividete l'impasto in cinque parti. Vedrete: l'impasto ha una composizione "lenta" quindi vi sporcherete un pò le mani. Comunque: ricavate cinque rotoli. Prendete bene le misure e fate dei bei rotoloni così che i biscotti siano grandi e non troppo piccoli (la mia esperienza).
Avvolgete i rotoli nella pellicola trasparente e metteteli a raffreddare nel congelatore quanto basta affinché siano duri e possano essere affettati bene.
Preriscaldate intanto il forno a 180 gradi.
Prendete il piatto dove avrete preparato le tre parti di zucchero bianco e la parte di cannella.
Tirati fuori i rotoli del composto, passateli molteplici volte sullo zucchero misto a cannella finché i rotoli non ne saranno assorbiti.
Affettate quindi i rotoli in fettine di 5-6 millimetri.
Imburrate le teglie (c'è burro in abbondanza nella ricetta e a primo avviso verrebbe voglia di non imburrare, ma credetemi questa non è la ricetta degli sweet chocolate cookies, quindi imburrate le teglie! sennò i biscotti si attaccano) e cominciate a mettere le fettine disposte a una certa distanza l'una dall'altra sulle teglie. Infornate per 18-20 minuti e poi lasciate raffreddare una volta fuori per cinque minuti.
E ora non mi resta che augurarvi: buona lettura e buon appetito!
Anna Maria Polidori
Non ho esitato: teglie di biscotti con cannella e mandorle.
Era il 13 settembre.
Non ho scelto a caso la ricetta. La cannella avvicina gli amici e allontana i nemici, una delle spezie che amo di più. Allegra e pungente, serena e sempre allegra. La mandorla avvolge, culla e coccola con quel sapore forte e persistente.
Il risultato finale? Una specie di amaretti in stile americano, davvero buoni e golosi!
Ogni due capitoli Kristin Harmel offre ricette golose del Massachusetts che provengono da culture disparate come verrà rivelato in seguito e che sono le specialità di Hope.
Non vi avevo ancora parlato di Hope?
Ah già, no: che distratta.
Hope è una donna di 35 anni incasinata il giusto e con una pasticceria sull'orlo del fallimento.
Vive a Cape Cod ridente cittadina del Massachusetts. Le sue ricette sono così apprezzate da figurare ogni anno nel Boston Globe e in altri periodici di spessore del suo Stato. Perché tanta fama? Semplice. La sua pasticceria è a conduzione familiare. Lei l'ha semplicemente ereditata da sua madre e sua madre da sua nonna Rose. Una formula vincente.
Hope ha una figlia, Annie, il personaggio del libro che preferisco fra tutti, dodicenne in guerra con il mondo e ha divorziato da suo marito che ora esce con una ventenne viziata che si chiama Sunshine. .
Sua nonna Rose ormai è ricoverata in un ospizio.
Rose sta perdendo la memoria oppure, se vogliamo, la sta ritrovando.
Fruga infatti in quel passato remoto che non può dimenticare, in cerca dei protagonisti principali della sua esistenza.
Gente che nessuno conosce, di cui nessuno ha memoria nella sua famiglia.
Chi però si interessa di più a Rose è la figlia di Hope, Annie.
Ci passa del tempo, la nonna le fa confidenze e le comunica nomi che a Annie, la figlia di Hope non dicono niente così come manco a Hope, ma che scatenano le ire dell'adolescente: "Santo cielo mamma vuoi andare anche tu a fare una chiacchierata con la nonna per capirci qualcosa o non te ne frega niente?"
Hope ci va. Da quella chiacchierata capisce tante cose perché sua nonna quel giorno è lucida.
Capisce che le religioni monoteistiche hanno più punti in comune di quanti pensiamo; che la nonna forse, sta celando una storia più grande di lei.
Hope non può più ignorare quanto sa.
Decide, aiutata da un amico di partire per Parigi, dove scoprirà quanto sia dolce e struggente il ricordo di qualcuno ritenuto perso per sempre scoprendo che la pace passa attraverso l'amore, il conforto, e il ricongiungimento.
Questa è una storia romantica, che parla di un amore senza fine. Una storia che scuoterà gli animi con altre due parole essenziali: aiuto e accettazione.
I cattolici e i musulmani parigini in soccorso degli ebrei durante l'ultimo conflietto mondiale.
Toccante e indimenticabile.
La ricetta dei biscotti con cannella e mandorle
200 grammi di burro
330 grami di zucchero di canna
2 uova grandi
1 cucchiaino di estratto di mandorle
320 gr di farina
1 cucchiaino di lievito in polvere
1 cucchiaino di sale
200 gr di zucchero misto a cannella. Fate così: tre parti di zucchero e una di cannella. Vi servierà alla fine.
Montate burro e zucchero di canna fino a che non otterrete una consistenza cremosa. Aggiungete uova e estratto di mandorle. Amalgamate il tutto.
In un altro recipiente avrete messo intanto gli ingredienti secchi: farina, lievito e sale.
Bene: aggiungeteli al composto.
Ora dividete l'impasto in cinque parti. Vedrete: l'impasto ha una composizione "lenta" quindi vi sporcherete un pò le mani. Comunque: ricavate cinque rotoli. Prendete bene le misure e fate dei bei rotoloni così che i biscotti siano grandi e non troppo piccoli (la mia esperienza).
Avvolgete i rotoli nella pellicola trasparente e metteteli a raffreddare nel congelatore quanto basta affinché siano duri e possano essere affettati bene.
Preriscaldate intanto il forno a 180 gradi.
Prendete il piatto dove avrete preparato le tre parti di zucchero bianco e la parte di cannella.
Tirati fuori i rotoli del composto, passateli molteplici volte sullo zucchero misto a cannella finché i rotoli non ne saranno assorbiti.
Affettate quindi i rotoli in fettine di 5-6 millimetri.
Imburrate le teglie (c'è burro in abbondanza nella ricetta e a primo avviso verrebbe voglia di non imburrare, ma credetemi questa non è la ricetta degli sweet chocolate cookies, quindi imburrate le teglie! sennò i biscotti si attaccano) e cominciate a mettere le fettine disposte a una certa distanza l'una dall'altra sulle teglie. Infornate per 18-20 minuti e poi lasciate raffreddare una volta fuori per cinque minuti.
E ora non mi resta che augurarvi: buona lettura e buon appetito!
Anna Maria Polidori
Monday, June 15, 2015
Miss S. - Cathleen Schine - Recensione
Un libro carino quello scritto dalla Schine ma deludente al tempo stesso.
Sette creativi si ritrovano in un'isola nel Maine, Stati Uniti, dove è stata ammodernata una casa destinata a detta del padrone Dick Treekape a ospitare artisti. Verrà commesso in loco un delitto. Il morto Gene Gill, odioso critico letterario nonché conduttore televisivo che avrebbe dovuto realizzare un servizio.
Era atteso.
Nessuno però finché l'autopsia, solo quattro giorni dopo confermerà la morte per omicidio è indagato di niente sebbene un detective sia arrivato sull'isola. Pura vacanza per tutti, gli ospiti potranno godere di tutta la libertà concessa loro dal proprietario.
Gli ospiti appaiono in parte ridicoli e per niente incisivi.
Ho provato zero tensione. Credevo che la trama si sarebbe dipanata diversamente.
Essendo questo un romanzo dove l'omicidio è stato commesso in un luogo non vorrei dire chiuso ma definito, circostanziato e dove certamente uno dei sette ospiti è l'assassino immaginavo una situazione meno rilassante e più pressante su tutti gli ospiti da subito. Mi piace questo del giallo. Il lavorìo psicologico e alla fine logorante su tutti gli ospiti. La tensione emotiva. Cosa che non è andata così.
Quando ho riportato il libro in biblioteca sono inciampata in una copia di Dieci piccoli indiani (ten little niggers, chissà perché in italiano abbiamo tradotto con indiani la parola neri) di Agatha Christie in vendita. L'ho comperato e l'ho iniziato a leggere. Mi sembra che Miss S. abbia delle rassomiglianze con questo romanzo della Christie.
Anna Maria Polidori
Sette creativi si ritrovano in un'isola nel Maine, Stati Uniti, dove è stata ammodernata una casa destinata a detta del padrone Dick Treekape a ospitare artisti. Verrà commesso in loco un delitto. Il morto Gene Gill, odioso critico letterario nonché conduttore televisivo che avrebbe dovuto realizzare un servizio.
Era atteso.
Nessuno però finché l'autopsia, solo quattro giorni dopo confermerà la morte per omicidio è indagato di niente sebbene un detective sia arrivato sull'isola. Pura vacanza per tutti, gli ospiti potranno godere di tutta la libertà concessa loro dal proprietario.
Gli ospiti appaiono in parte ridicoli e per niente incisivi.
Ho provato zero tensione. Credevo che la trama si sarebbe dipanata diversamente.
Essendo questo un romanzo dove l'omicidio è stato commesso in un luogo non vorrei dire chiuso ma definito, circostanziato e dove certamente uno dei sette ospiti è l'assassino immaginavo una situazione meno rilassante e più pressante su tutti gli ospiti da subito. Mi piace questo del giallo. Il lavorìo psicologico e alla fine logorante su tutti gli ospiti. La tensione emotiva. Cosa che non è andata così.
Quando ho riportato il libro in biblioteca sono inciampata in una copia di Dieci piccoli indiani (ten little niggers, chissà perché in italiano abbiamo tradotto con indiani la parola neri) di Agatha Christie in vendita. L'ho comperato e l'ho iniziato a leggere. Mi sembra che Miss S. abbia delle rassomiglianze con questo romanzo della Christie.
Anna Maria Polidori
Una bugia su mio padre - John Burnside - Recensione
La Neri Pozza Editore una delle più prestigiose case editrici italiane ha pubblicato anni fa il libro di John Burnside: Una bugia su mio padre.
Comincia così:
"Questo libro va considerato un'opera di fantasia. Se fosse ancora qui a parlarne, sono sicuro che mio padre concorderebbe con me nel dire che non ho mai avuto un padre, così come lui non ha mai avuto un figlio".
Bene.
Il romanzo tradotto splendidamente da Massimo Ortelio è meraviglioso per la potente drammaticità emotiva.
Meraviglioso per i pensieri che l'autore partorisce, dipana, analizza, durante la narrazione, per quella capacità di sondare con grande acume i piccoli e grandi stati d'animo di un micro-cosmo quello della famiglia del protagonista, e del protagonista, io narrante, analizzati con spietato realismo: il figlio di questo genitore senza cuore che ha cercato per tutta la vita l'amore del padre.
Il padre del protagonista del romanzo beve.
Perché?
Mah, per vizio. Non crediate che le umane vicissitudini debbano per forza di cose portare a dipendenze per come la vedo io.
Nasce trovatello questo padre insensibile, lo affidano a tante famiglie ma non può mai dire quali siano le sue vere ragioni e così mente, mente, mente perfino a se stesso di avere avuto dei genitori amorevoli e così via.
Alla fine, semplice, sentendosi un pò perdente comincia ad attaccarsi alla bottiglia e diventa violento in famiglia, come se l'alcol risolvesse tutto, anestetizzasse tutto per poi far ritornare peggio di prima in superficie una valanga maggiore di problemi con in più la complicazione del problema di dover smettere di bere. Ergo: più problemi di prima.
Odia suo figlio, questo padre per insondabili ragioni e lo maltratta davanti a tutti. Lo mortifica, lo schiavizza.
Il ragazzino è costretto ad assistere a scene poco edificanti dentro casa. Gruppi di beoni che vomitano o addirittura fanno la pipì nella loro cucina! durante la notte. Il piccolo vede tutto. Sente tutto. Assiste.
La madre del bambino capisce che deve abbozzare e sogna per il figlio il riscatto sociale che lei non avrà mai. Lo segue, lo prepara bene a scuola. Il piccolo eccelle, però non raggiunge, sebbene vinca premi, sebbene arrivi sempre primo, al cuore di suo padre, cui tiene più di ogni altra cosa.
Così un bel giorno smette di studiare comincia a leggere Edgar Allan Poe e è la fine della bellezza di questo ragazzino e l'inizio di una lunghissima perdizione.
Poe non ha colpa alcuna per questo ;-) precisiamo.
Alcol, droghe leggere e pesanti che lo stordicono e lo fanno "cadere" ma mai del tutto rialzare ammette il protagonista, perché una volta caduto il diavolo sarà sempre lì vicino a te.
Il romanzo mi è piaciuto per l'intensità del vissuto sebbene sia triste, ma di una tristezza che va a braccetto con la rassegnazione del così doveva andare.
Visto che Burnside è meraviglioso e scrive da Dio, ti incanta e mentre leggi pensi: "Ma come diavolo fa a mettere insieme così tanta intensità emotiva?" gli suggerirei per la prossima volta una maggiore originalità. Non me ne voglia.
Che, insomma la sequenzialità dell'esistenza di un ragazzo con un padre alcolista non sia questa sebbene la più semplice da descrivere, non è forse così?
Sarà che conosco realtà di ragazzi con genitori alcolisti e nessuno di loro, sebbene infelice a modo suo perché non sei contento di vedere i genitori appannati dall'alcol ha fatto questa fine e s'è andato a imbottire di alcole droghe perché il padre non lo ha capito perché beve.
Penso sempre che ci sia un Dio speciale per i bambini capace di preserverli e renderli migliori e non repliche di quello che hanno visto e vissuto.
Non esiste un'ineluttabilità del destino e non esiste uno stesso percorso esistenziale solo perché i genitori sono "guasti".
Ho sempre pensato che i figli siano più intelligenti, molto pù intelligenti dei loro genitori e che sappiano costruire sulle macerie della loro famiglia un destino più bello, fiorente e ricco di soddisfazioni. E senza alcol e droghe di mezzo!
I ragazzi dovranno far forza su di loro, sulle loro capacità, sfidare una realtà brutta e volere per loro qualcosa di diverso.
Non solo questo è reale nella maggior parte dei casi, perché nessuno vuole replicare l'inferno vissuto che io sappia, ma auspicabile e possibile.
La predestinazione non esiste, è un'invenzione dell'uomo.
Ciascuno può essere capace di diventare un'ottima persona sebbene i genitori possano essere stati mediocri.
Questo sì, è un grande augurio e una scommessa per un mondo che ha bisogno di ottimismo.
Anna Maria Polidori
Comincia così:
"Questo libro va considerato un'opera di fantasia. Se fosse ancora qui a parlarne, sono sicuro che mio padre concorderebbe con me nel dire che non ho mai avuto un padre, così come lui non ha mai avuto un figlio".
Bene.
Il romanzo tradotto splendidamente da Massimo Ortelio è meraviglioso per la potente drammaticità emotiva.
Meraviglioso per i pensieri che l'autore partorisce, dipana, analizza, durante la narrazione, per quella capacità di sondare con grande acume i piccoli e grandi stati d'animo di un micro-cosmo quello della famiglia del protagonista, e del protagonista, io narrante, analizzati con spietato realismo: il figlio di questo genitore senza cuore che ha cercato per tutta la vita l'amore del padre.
Il padre del protagonista del romanzo beve.
Perché?
Mah, per vizio. Non crediate che le umane vicissitudini debbano per forza di cose portare a dipendenze per come la vedo io.
Nasce trovatello questo padre insensibile, lo affidano a tante famiglie ma non può mai dire quali siano le sue vere ragioni e così mente, mente, mente perfino a se stesso di avere avuto dei genitori amorevoli e così via.
Alla fine, semplice, sentendosi un pò perdente comincia ad attaccarsi alla bottiglia e diventa violento in famiglia, come se l'alcol risolvesse tutto, anestetizzasse tutto per poi far ritornare peggio di prima in superficie una valanga maggiore di problemi con in più la complicazione del problema di dover smettere di bere. Ergo: più problemi di prima.
Odia suo figlio, questo padre per insondabili ragioni e lo maltratta davanti a tutti. Lo mortifica, lo schiavizza.
Il ragazzino è costretto ad assistere a scene poco edificanti dentro casa. Gruppi di beoni che vomitano o addirittura fanno la pipì nella loro cucina! durante la notte. Il piccolo vede tutto. Sente tutto. Assiste.
La madre del bambino capisce che deve abbozzare e sogna per il figlio il riscatto sociale che lei non avrà mai. Lo segue, lo prepara bene a scuola. Il piccolo eccelle, però non raggiunge, sebbene vinca premi, sebbene arrivi sempre primo, al cuore di suo padre, cui tiene più di ogni altra cosa.
Così un bel giorno smette di studiare comincia a leggere Edgar Allan Poe e è la fine della bellezza di questo ragazzino e l'inizio di una lunghissima perdizione.
Poe non ha colpa alcuna per questo ;-) precisiamo.
Alcol, droghe leggere e pesanti che lo stordicono e lo fanno "cadere" ma mai del tutto rialzare ammette il protagonista, perché una volta caduto il diavolo sarà sempre lì vicino a te.
Il romanzo mi è piaciuto per l'intensità del vissuto sebbene sia triste, ma di una tristezza che va a braccetto con la rassegnazione del così doveva andare.
Visto che Burnside è meraviglioso e scrive da Dio, ti incanta e mentre leggi pensi: "Ma come diavolo fa a mettere insieme così tanta intensità emotiva?" gli suggerirei per la prossima volta una maggiore originalità. Non me ne voglia.
Che, insomma la sequenzialità dell'esistenza di un ragazzo con un padre alcolista non sia questa sebbene la più semplice da descrivere, non è forse così?
Sarà che conosco realtà di ragazzi con genitori alcolisti e nessuno di loro, sebbene infelice a modo suo perché non sei contento di vedere i genitori appannati dall'alcol ha fatto questa fine e s'è andato a imbottire di alcole droghe perché il padre non lo ha capito perché beve.
Penso sempre che ci sia un Dio speciale per i bambini capace di preserverli e renderli migliori e non repliche di quello che hanno visto e vissuto.
Non esiste un'ineluttabilità del destino e non esiste uno stesso percorso esistenziale solo perché i genitori sono "guasti".
Ho sempre pensato che i figli siano più intelligenti, molto pù intelligenti dei loro genitori e che sappiano costruire sulle macerie della loro famiglia un destino più bello, fiorente e ricco di soddisfazioni. E senza alcol e droghe di mezzo!
I ragazzi dovranno far forza su di loro, sulle loro capacità, sfidare una realtà brutta e volere per loro qualcosa di diverso.
Non solo questo è reale nella maggior parte dei casi, perché nessuno vuole replicare l'inferno vissuto che io sappia, ma auspicabile e possibile.
La predestinazione non esiste, è un'invenzione dell'uomo.
Ciascuno può essere capace di diventare un'ottima persona sebbene i genitori possano essere stati mediocri.
Questo sì, è un grande augurio e una scommessa per un mondo che ha bisogno di ottimismo.
Anna Maria Polidori
Un pezzo di uomo - Kari Hotakainen - Recensione
Kari Hotakainen è uno degli scrittori più amati in Finlandia.
Ha scritto un romanzo che lascia l'amaro in bocca: "Un pezzo di uomo".
Un pezzo di uomo è un titolo letterale. Sì: non andate a cercare significati diversi, magari figurativi. "Che pezzo d'uomo quello" ad esempio. Ecco: no, la storia è che al termine ci sarà davvero da qualche parte un pezzo d'un uomo che verrà reclamato per vendetta e conservato gelosamente. Nessuno sarà ucciso ma qualcuno verrà, sì, mutilato.
La storia è quella di una signora in pensione, Salme un tempo gestrice con il marito di un negozio di merceria grazie al quale ha garantito una vita dignitosa ai tre figli.
Ormai grandi, una delle figlie di Selma, Helena invita la madre a casa sua a Helsinki e durante i giorni di permanenza le consiglia di fare un giro assieme a lei alla Fiera del libro.
Selma accetta di buon grado sebbene non le piacciano i libri di fiction e preferisca storie vere o che so? La storia del sistema solare, libri di ricette di cucina, roba del genere insomma.
In quel luogo fertile e ricco di intelligenze Selma incontra uno scrittore che le propone di raccontarle la sua vita visto che la signora è così reticente verso gli scrittori, per non dire polemica, al prezzo di settemila euro.
Vendere il racconto della sua vita a uno scrittore? Selma sarebbe contraria ma alla fine accetta.
A Selma questi soldi servono per curare Helena da una profonda depressione che l'ha afflitta dopo aver perso la sua dorata figliola.
Accetta e in vari appuntamenti che seguiranno con lo scrittore comincia a raccontargli una realtà "alterata" dei suoi figli.
Quanto siano allegri, di successo, vincenti. Lo scrittore conosce uno di questi figli, Pekka.
In realtà il ragazzo fa il mestiere di "imbucato ai funerali".
Per mangiare il ragazzo, senza lavoro va a funerali di gente sconosciuta, talvolta facendo delle figure ridicole perché non conosce nemmeno lui la storia del morto e pensa che "la prossima volta dovrà studiare meglio il caro estinto". Oppure vive altre ma simili situazioni paradossali per poter mangiare.
Un'altra delle figlie di Selma Maija finisce con un ragazzo nero. In Finlandia dev'essere ancora un trauma. Per la famiglia di Selma all'inizio lo è stato. Una storia del tipo: "Indovina chi viene a cena?"
Accettato purché la figlia sia felice il ragazzo lascia il lavoro che svolge, autista d'autobus per motivazioni a dir poco assurde, una discussione con dei ragazzi. I due si ritrovano senza stipendio.
Intanto la figlia di Helena scompare e una vendetta è pronta per far tornare perfino la favella al marito di Selma, Paavo che a un certo punto ha smesso di punto in bianco di parlare causa troppi traumi in famiglia.
Un romanzo crudo a tratti leggero ma sempre con una vena di tristezza intrisa allo humor.
Quando lo leggerete vedrete che è nel migliore stile degli autori del Nord-Europa, leggero nonostante tutto sebbene le tematiche trattate siano durissime, i problemi immani e la descrizione della mutilazione orripilante.
Pur tuttavia, lo leggerete in mezza giornata o meno e tutto scivolerà via sebbene quando chiuderete il libro e lo riporrete in uno scaffale rimarrà più di una punta d'amarezza.
Quello che rimarrà sarà lo specchio della nostra società. Una società sempre più ingarbugliata, una società che non riesce a riconnettere le persone, una società che crea dispersione e disperazione sotto ogni punto di vista.
Le ultime frasi del libro: "Con i settemila euro ho potuto offrire a Helena una terapia così efficace che la persona uscita dalla porta di quella clinica non ha niente a che vedere con quella che c'era entrata. Non ho riavuto esattamente la mia primogenita di una volta ma almeno l'ho riavuta..."
Anna Maria Polidori
Ha scritto un romanzo che lascia l'amaro in bocca: "Un pezzo di uomo".
Un pezzo di uomo è un titolo letterale. Sì: non andate a cercare significati diversi, magari figurativi. "Che pezzo d'uomo quello" ad esempio. Ecco: no, la storia è che al termine ci sarà davvero da qualche parte un pezzo d'un uomo che verrà reclamato per vendetta e conservato gelosamente. Nessuno sarà ucciso ma qualcuno verrà, sì, mutilato.
La storia è quella di una signora in pensione, Salme un tempo gestrice con il marito di un negozio di merceria grazie al quale ha garantito una vita dignitosa ai tre figli.
Ormai grandi, una delle figlie di Selma, Helena invita la madre a casa sua a Helsinki e durante i giorni di permanenza le consiglia di fare un giro assieme a lei alla Fiera del libro.
Selma accetta di buon grado sebbene non le piacciano i libri di fiction e preferisca storie vere o che so? La storia del sistema solare, libri di ricette di cucina, roba del genere insomma.
In quel luogo fertile e ricco di intelligenze Selma incontra uno scrittore che le propone di raccontarle la sua vita visto che la signora è così reticente verso gli scrittori, per non dire polemica, al prezzo di settemila euro.
Vendere il racconto della sua vita a uno scrittore? Selma sarebbe contraria ma alla fine accetta.
A Selma questi soldi servono per curare Helena da una profonda depressione che l'ha afflitta dopo aver perso la sua dorata figliola.
Accetta e in vari appuntamenti che seguiranno con lo scrittore comincia a raccontargli una realtà "alterata" dei suoi figli.
Quanto siano allegri, di successo, vincenti. Lo scrittore conosce uno di questi figli, Pekka.
In realtà il ragazzo fa il mestiere di "imbucato ai funerali".
Per mangiare il ragazzo, senza lavoro va a funerali di gente sconosciuta, talvolta facendo delle figure ridicole perché non conosce nemmeno lui la storia del morto e pensa che "la prossima volta dovrà studiare meglio il caro estinto". Oppure vive altre ma simili situazioni paradossali per poter mangiare.
Un'altra delle figlie di Selma Maija finisce con un ragazzo nero. In Finlandia dev'essere ancora un trauma. Per la famiglia di Selma all'inizio lo è stato. Una storia del tipo: "Indovina chi viene a cena?"
Accettato purché la figlia sia felice il ragazzo lascia il lavoro che svolge, autista d'autobus per motivazioni a dir poco assurde, una discussione con dei ragazzi. I due si ritrovano senza stipendio.
Intanto la figlia di Helena scompare e una vendetta è pronta per far tornare perfino la favella al marito di Selma, Paavo che a un certo punto ha smesso di punto in bianco di parlare causa troppi traumi in famiglia.
Un romanzo crudo a tratti leggero ma sempre con una vena di tristezza intrisa allo humor.
Quando lo leggerete vedrete che è nel migliore stile degli autori del Nord-Europa, leggero nonostante tutto sebbene le tematiche trattate siano durissime, i problemi immani e la descrizione della mutilazione orripilante.
Pur tuttavia, lo leggerete in mezza giornata o meno e tutto scivolerà via sebbene quando chiuderete il libro e lo riporrete in uno scaffale rimarrà più di una punta d'amarezza.
Quello che rimarrà sarà lo specchio della nostra società. Una società sempre più ingarbugliata, una società che non riesce a riconnettere le persone, una società che crea dispersione e disperazione sotto ogni punto di vista.
Le ultime frasi del libro: "Con i settemila euro ho potuto offrire a Helena una terapia così efficace che la persona uscita dalla porta di quella clinica non ha niente a che vedere con quella che c'era entrata. Non ho riavuto esattamente la mia primogenita di una volta ma almeno l'ho riavuta..."
Anna Maria Polidori
Educazionedi una donna - Elizabeth Percer
Naomi è una ragazzina, io-narrante della storia, che vive a un tiro di schioppo dalla casa natale del presidente Kennedy. Suo padre ha un'adorazione per il presidente ma in particolare per Rose Kennedy, la matriarca.
Naomi ha visto centinaia di volte l'interno della casa dove Kennedy ha vissuto la sua giovinezza perché suo padre ce l'accompagna spesso così come ama accompagnarci amici e colleghi di lavoro.
Un giorno durante una visita alla casa dei Kennedy suo padre viene colto da infarto e la vita interiore di Naomi cambia. Decide che da grande vorrà curare cuori e diventare un grande dottore. Il primo passo? Il Wellesley College.
Elizabeth Percer autrice del libro e ex studentessa del Wellesley College dove ha preso un Bachelor of Art in inglese ha fornito un ritratto reale e sincero di un'istituzione tra le più prestigiose del Massachusetts. Questo istituto per sole ragazze dopo quattro anni indirizzerà le ragazze verso altre luminose università quali Harvard, Yale, per completare gli studi.
La casa di Naomi è sempre stata piena di libri e suo padre la prepara ad affrontare un'istituzione che ammette solo le ragazze migliori e con un punteggio scolastico più che eccellente.
Naomi intanto conosce un bambino, figlio di una nuova coppia di vicini di casa, Teddy.
La loro un'amicizia bella, intensa durerà fino alla loro pre-adolescenza, quando Teddy, con in cuore un triste segreto che i due amichetti seppelliranno nel vero senso della parola nel giardino di casa, dovrà lasciare la casa e Naomi per trasferirsi altrove, una volta scomparso di colpo il padre.
Naomi è devastata. Comincia a correre. Corre per sfogarsi, corre per rabbia, corre per quell'impotenza che fa pensare all'ingiustizia del mondo. Trovare qualcuno con cui stai bene e poi perderlo.
Il tempo trascorre, Naomi cresce e viene accettata al Wellesley College. Sinora è stata una ragazza che non ha mai dato problemi.
Permane in lei la malinconia per Teddy. Non è riuscita a costruire un rapporto sentimentale stabile con nessun altro ragazzo. Sebbene Teddy l'abbia lasciata da piccola Naomi sente quell'amore in forma intensa e resta rinchiusa nel suo bozzolo.
Una studentessa eccellente sino alla sua entrata nel club della Shakespeare Society scelta quella di Naomi avversata dalla sua compagna di stanza.
Queste istituzioni prestigiose tendono a creare gruppi (ricordate L'Attimo Fuggente con Robin Williams?) in cui gli studenti possano ritrovarsi per condividere assieme una passione.
Naomi stringe amicizia con diverse ragazze della Shakes inclusa Jun una studentessa arrivata dal Giappone e che avrebbe tanto voluto terminare i suoi studi negli Stati Uniti.
Purtroppo il diavolo ci metterà lo zampino.
Nel mentre il rendimento scolastico di Naomi precipita a un livello tale per cui un'ammissione ipotetica presso un'università come Harvard per medicina impensabile.
Così viene contattata dalla preside. Non pare le importi nulla di quanto la preside le stia dicendo e se ne va via senza prendere in mano il foglio con i numeri di telefono di una tutor e della stessa preside, resasi disponibile per accompagnare sino alla compiuta realizzazione il sogno di Naomi.
Chi lo sa se sia stata l'ebbrezza della libertà per questa figlia unica, il desiderio di vivere la sua giovinezza come voleva.
Fatto sta alla fine Naomi non c'entrerà l'obiettivo di una iscrizione a medicina presso una prestigiosa università.
Questa la parte più amara a mio modo di vedere del romanzo.
Quando una bella intelligenza perde la retta via è triste e penoso.
Però le priorità di Naomi sono anche altre e la ragazza non si è proprio "persa". Ha subìto una nuova evoluzione e compiuto scelte diverse che per quanto possano di primo acchitto apparire "dolorose" fanno parte del percorso umano di ciascun individuo.
Teddy, la sua croce e la sua fissa.
Alla fine sua madre le confesserà che il ragazzo purtroppo non è più quello di un tempo.
C'è lieto fine per tutti. Naomi realizzerà in parte il suo sogno, curare i cardiopatici, ma al tempo stesso ritroverà in forma diversa Teddy e finalmente, l'amore, bello, pieno e consapevole.
Durante il romanzo così come scorre la vita di Naomi assistiamo al progredire delle esistenze dei genitori della ragazza che intanto passano, inghiottite dalla vita e riconsegnate alla morte.
Anna Maria Polidori
Naomi ha visto centinaia di volte l'interno della casa dove Kennedy ha vissuto la sua giovinezza perché suo padre ce l'accompagna spesso così come ama accompagnarci amici e colleghi di lavoro.
Un giorno durante una visita alla casa dei Kennedy suo padre viene colto da infarto e la vita interiore di Naomi cambia. Decide che da grande vorrà curare cuori e diventare un grande dottore. Il primo passo? Il Wellesley College.
Elizabeth Percer autrice del libro e ex studentessa del Wellesley College dove ha preso un Bachelor of Art in inglese ha fornito un ritratto reale e sincero di un'istituzione tra le più prestigiose del Massachusetts. Questo istituto per sole ragazze dopo quattro anni indirizzerà le ragazze verso altre luminose università quali Harvard, Yale, per completare gli studi.
La casa di Naomi è sempre stata piena di libri e suo padre la prepara ad affrontare un'istituzione che ammette solo le ragazze migliori e con un punteggio scolastico più che eccellente.
Naomi intanto conosce un bambino, figlio di una nuova coppia di vicini di casa, Teddy.
La loro un'amicizia bella, intensa durerà fino alla loro pre-adolescenza, quando Teddy, con in cuore un triste segreto che i due amichetti seppelliranno nel vero senso della parola nel giardino di casa, dovrà lasciare la casa e Naomi per trasferirsi altrove, una volta scomparso di colpo il padre.
Naomi è devastata. Comincia a correre. Corre per sfogarsi, corre per rabbia, corre per quell'impotenza che fa pensare all'ingiustizia del mondo. Trovare qualcuno con cui stai bene e poi perderlo.
Il tempo trascorre, Naomi cresce e viene accettata al Wellesley College. Sinora è stata una ragazza che non ha mai dato problemi.
Permane in lei la malinconia per Teddy. Non è riuscita a costruire un rapporto sentimentale stabile con nessun altro ragazzo. Sebbene Teddy l'abbia lasciata da piccola Naomi sente quell'amore in forma intensa e resta rinchiusa nel suo bozzolo.
Una studentessa eccellente sino alla sua entrata nel club della Shakespeare Society scelta quella di Naomi avversata dalla sua compagna di stanza.
Queste istituzioni prestigiose tendono a creare gruppi (ricordate L'Attimo Fuggente con Robin Williams?) in cui gli studenti possano ritrovarsi per condividere assieme una passione.
Naomi stringe amicizia con diverse ragazze della Shakes inclusa Jun una studentessa arrivata dal Giappone e che avrebbe tanto voluto terminare i suoi studi negli Stati Uniti.
Purtroppo il diavolo ci metterà lo zampino.
Nel mentre il rendimento scolastico di Naomi precipita a un livello tale per cui un'ammissione ipotetica presso un'università come Harvard per medicina impensabile.
Così viene contattata dalla preside. Non pare le importi nulla di quanto la preside le stia dicendo e se ne va via senza prendere in mano il foglio con i numeri di telefono di una tutor e della stessa preside, resasi disponibile per accompagnare sino alla compiuta realizzazione il sogno di Naomi.
Chi lo sa se sia stata l'ebbrezza della libertà per questa figlia unica, il desiderio di vivere la sua giovinezza come voleva.
Fatto sta alla fine Naomi non c'entrerà l'obiettivo di una iscrizione a medicina presso una prestigiosa università.
Questa la parte più amara a mio modo di vedere del romanzo.
Quando una bella intelligenza perde la retta via è triste e penoso.
Però le priorità di Naomi sono anche altre e la ragazza non si è proprio "persa". Ha subìto una nuova evoluzione e compiuto scelte diverse che per quanto possano di primo acchitto apparire "dolorose" fanno parte del percorso umano di ciascun individuo.
Teddy, la sua croce e la sua fissa.
Alla fine sua madre le confesserà che il ragazzo purtroppo non è più quello di un tempo.
C'è lieto fine per tutti. Naomi realizzerà in parte il suo sogno, curare i cardiopatici, ma al tempo stesso ritroverà in forma diversa Teddy e finalmente, l'amore, bello, pieno e consapevole.
Durante il romanzo così come scorre la vita di Naomi assistiamo al progredire delle esistenze dei genitori della ragazza che intanto passano, inghiottite dalla vita e riconsegnate alla morte.
Anna Maria Polidori
Monday, May 25, 2015
Donna VanLiere: " Christmas is showing someone that hope is alive!"
At first it was The Good Dream
Many years ago I joined one of that community where they ask you what you would want to receive from other people in the world and vice versa. With postcards, mails, tea, I added I love reading and so I would have been happy to receive used books. I met a lady from Oregon, Jennifer. She started to send me various books, and one of them attracted my attention. It was called: "The Good Dream" a beautiful title with a stunning cover.
The author Donna VanLiere
Fascinating story. A little boy abused will find joy and a new family thanks to the protagonist, Ivory, still a Miss although in her early 30s. An intense story of love and hope.
Later I would have read also The Angels of Morgan Hill.
Donna is a New York Times and USA Today best-selling author.
She started to be famous for her Christmas' books. Two movies created with two of her novels: The Christmas Shoes and The Christmas Blessing
as protagonists Rob Lowe, Kimberly Williams-Perry and Neil Patrick Harris.
Lifetime Television adapted later also The Christmas Hope
starring Madeleine Stowe.
Donna won many awards with the time because of these works plenty of hope, faith and trust. A Retailer's Choice Award for Fiction, a Dove Award, a Silver Angel Award, an Audie Award for best inspirational fiction, a nominee for a Gold Medallion Book of the Year and recently she joined the Ohio Foundation of Independent Colleges Hall of Excellence with people like Coretta Scott King, Hugh Downs, Dr. Norman Vincent Peale and senator John Glenn. Donna loves to organizes conferences for women and family as well.
Married with Troy she lives in Franklin, Tennessee and she has three children, Grace, Kate and David.
I requested to Donna after a while and various messages we exchanged in the while, an interview and she accomplished my desire with joy. I thank her a lot.
Can you tell me something about your Christmas when you were a child and how you celebrated it?
Christmas was simple in our home. My parents grew up on farms in East Tennessee in the United States. They were born in the 1930's and Christmas was simple for them. As a child it was not about a lot of presents but about celebrating the birth of Christ and because of His love for us we gave presents to each other.
What does Christmas mean for you and in what way you preserve it for your children?
Christmas is their favorite time of the year because our home is filled with the smells of homemade candy and baked goods and the sense that peace and hope are still alive in the world! We celebrate the birth of Christ and give presents to children through Operation Christmas Child, which sends presents to children around the world who need help. We sponsor children throughout the year with child relief organizations and each year send them extra assistance so they can purchase school supplies, clothes, a bed or chest of drawers, etc. They are able to get what they need for their own homes and they each send such beautiful letters of appreciation. Christmas is showing someone that hope is alive!
What means believing in angels to you? And..Who are angels?
Angels are created beings. God created angels to serve those who would receive salvation (Hebrews 1:14). Many times we refer to someone as being "an angel" or "like an angel" and we are really saying that that person was so helpful, so kind, so compassionate that they seemed as if they were sent from Heaven.
Why according to you, your books have a huge impact in this society and what your readers search for when they pick up your books for reading them?
I think readers are looking for hope. Even though the storyline may be difficult (as is life) the reader wants to see that people are good and that they do rush in to help their fellow man. I think they want to sense hope and grace and mercy among the characters and hopefully will even want to be like some of the characters!
When did you discover the gift for writing and who encouraged you?
I had always been writing but never recognized it as a gift. After college I thought I'd try writing a novel I'd been thinking of and my husband said: "Do it!" He never doubted!
In the Good Dream, what impressed me the most is the good southerner food, the relationship between the protagonist with the poor abandoned boy, and her decision to keep him with her.
How much important is compassion in our society?
Our world would cease to exist without compassion. If we all just lived for ourselves our societies would implode. Each of us are here to help one another. When one stumbles and falls someone else helps her up. Sometimes we may be down and out of the race for a long time but thankfully, there are those people who come alongside of us and help us back up onto our feet so we can get into the race again. We couldn't do that without compassion.
The angels of Morgan Hill interrupted the series of the Christmas book you wrote at some point. Why this choice and the message you wanted to spread?
I wanted to spread the message I wrote about in the previous answer. We are here to help one another and to touch each others lives with compassion and hope. Even in the darkest circumstances we need people to remind us that hope is alive!
How much important is the integration between black and white, still a big problem in the USA and why it is no possible to reach a compromise with these two etnicities. Have you got a recipe for stopping all this hate?
Love and respect for one another. No one is any better than someone else. We are all the same in God's eyes. If we have love and respect for one another then hatred wouldn't be in the equation.
What kind of idea have you got of life Donna? Is it an irrational chaos or we were sent here from Someone for a purpose?
Each of us are here for a purpose. I believe in God. I believe in intelligent design. Man has never been able to create something as intricate as the eye; we can't create anything like the human brain and have failed to create a heart that will last. For me, only Supreme Intelligence could create the human body. If life was irrational chaos then why even bother? Life with purpose and meaning from a Creator gives vision and hope to our days.
How can we re-discover the light after a long period of darkness? Have you got any advices?
Christ is the light in our darkness (John 1:1-4). Christ is referred to as the Word. The Word was with God, the Word became flesh and dwelt among us (verse 14). He is the light in our darkness; the light of all mankind. Jesus Christ came to love. He still loves today. He loves everyone. He shines as light in the darkness. He is referred to as our Hope in the Bible. Without hope we are hopeless and that's no way to live. Many live hopeless lives and it doesn't matter if someone is rich or poor, on television or working in a factory. Hopelessness crosses all countries and all lifestyles. The Word became flesh to show us that great hope, that great love and that amazing grace. Augustine said that God gives where he finds empty hands. We can open our hands to God and ask him to take the mess and to give us his love and his hope and to fill our hearts with the Light of the world.
Your favorite books?
I loved To Kill a Mockingbird
by Harper Lee and A Tree Grows in Brooklyn
by Betty Smith!
Anna Maria Polidori
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