Che giornate quelle del maggio '44! Angelo Polidori racconta cosa accadde a Morena durante il rastrellamento dei tedeschi
Angelo Polidori,
mio padre, classe 1926, è stato un testimone eccellente dei fatti accaduti durante la Resistenza nella zona di Morena. Ex stradino del comune di Gubbio, spirito libero, socievole, appassionato, rivive quei momenti come fossero solo successi ieri.
“Era il 1943, quando la brigata di partigiani prese corpo a Morena, grazie all'avvocato Terradura e alle due figliole, Valchiria e Leonella, alloggiate dal parroco don Marino Ceccarelli. Poco dopo si associò alla banda un tenente. In seguito un carabiniere barese. Alla fine la banda era composta da 25-30 elementi. Nel 1944, il gruppo aveva svaligiato un magazzino alla Badia di San Benedetto Vecchio e Giuseppe Radicchi aveva trasportato il grano sino a Morena. Era stato appoggiato nel salone vicino la chiesa.”
Ma i momenti più salienti dovevano ancora arrivare...
Noi ospitavamo i partigiani. Stavamo costruendo la casa attuale, ancora vuota spoglia. Però coperta. Avevamo deciso di collaborare con i partigiani e don Marino dando loro ospitalità e rifugio. Nella nostra casa ancora in fase di costruzione e perciò disabitata, i giorni precedenti il disastro vissuto da Morena, Morenella e Morenaccia, c'erano circa trenta partigiani. E da più di venti giorni a quella parte! Dormivano qui, Anna dove adesso abbiamo la cucina.
Mentre il babbo racconta fa impressione pensare che questa nostra casa sia stata il punto di ritrovo e di snodo di ben trenta-quaranta partigiani e che di fatto, siano stati loro a averla "inaugurata". La mente corre frenetica a immaginare i loro volti, le loro grida di gioia, di dolore. Le aspettative, le profonde frustrazioni, angosce e paure. Immaginiamo solo come e dove avessero potuto dormire. Stipati alla meglio. Per terra. La caciara delle gioventù, dei sogni non ancora infranti. Ora mi spiego perché la nostra casa sia così speciale e continui nel suo piccolo a essere un allegro e folle crocevia di esistenze umane tra le più disparate.
“Era il 1943, quando la brigata di partigiani prese corpo a Morena, grazie all'avvocato Terradura e alle due figliole, Valchiria e Leonella, alloggiate dal parroco don Marino Ceccarelli. Poco dopo si associò alla banda un tenente. In seguito un carabiniere barese. Alla fine la banda era composta da 25-30 elementi. Nel 1944, il gruppo aveva svaligiato un magazzino alla Badia di San Benedetto Vecchio e Giuseppe Radicchi aveva trasportato il grano sino a Morena. Era stato appoggiato nel salone vicino la chiesa.”
Ma i momenti più salienti dovevano ancora arrivare...
Noi ospitavamo i partigiani. Stavamo costruendo la casa attuale, ancora vuota spoglia. Però coperta. Avevamo deciso di collaborare con i partigiani e don Marino dando loro ospitalità e rifugio. Nella nostra casa ancora in fase di costruzione e perciò disabitata, i giorni precedenti il disastro vissuto da Morena, Morenella e Morenaccia, c'erano circa trenta partigiani. E da più di venti giorni a quella parte! Dormivano qui, Anna dove adesso abbiamo la cucina.
Mentre il babbo racconta fa impressione pensare che questa nostra casa sia stata il punto di ritrovo e di snodo di ben trenta-quaranta partigiani e che di fatto, siano stati loro a averla "inaugurata". La mente corre frenetica a immaginare i loro volti, le loro grida di gioia, di dolore. Le aspettative, le profonde frustrazioni, angosce e paure. Immaginiamo solo come e dove avessero potuto dormire. Stipati alla meglio. Per terra. La caciara delle gioventù, dei sogni non ancora infranti. Ora mi spiego perché la nostra casa sia così speciale e continui nel suo piccolo a essere un allegro e folle crocevia di esistenze umane tra le più disparate.
Intanto il babbo mi riporta alla realtà del tempo con la sua voce lenta e cavernosa....
La notte del 5 maggio, venerdì, i partigiani avevano svaligiato il castello di Carbonana, allora proprietà di Gigli portando via brandine, materassi e ogni altro ben di Dio.
Michele, il cuciniere calabrese della brigata, dormiva sempre vicino all'angolo dove noi riponevamo la legna, per terra. Noi lo chiamavamo "il cantone della legna" Il sabato notte anche lui aveva la sua branda bella comoda. La mattina di domenica gli chiesi incuriosito come avesse dormito e mi rispose: “Non ho chiuso occhio, Tillo” Forse la sua era una premonizione. Il sabato aveva lavorato per preparare una vitella da mangiare il giorno successivo. L'avevano appesa sul muro della nostra vecchia casa, dove ancora vivevamo a pochi metri di distanza da questa casa nuova. La vitella era stata rubata a un contadino e era pronta per essere cucinata. Intanto le ragazze, la Lilla, la Delma e tua zia Nena erano già tutte eccitate e affaccendate perché dovevano preparare le tagliatelle. La Lilla e la Delma erano nostre ospiti abituali. Trenta persone e più,,,
I piani saltarono...
La domenica di buon' ora corse da noi l'allora barbiere di Pietralunga Guido con un altro uomo, portando la notizia del rastrellamento. I tedeschi, a Pietralunga, avevano già ucciso sette persone in Piazza VII maggio. Pover' uomini che da Roma erano venuti a cercare un po' di farina dalle nostre parti. I partigiani, abbandonarono immediatamente la nostra casa, il Doglio, per dirigersi più lesti possibili, verso la Serra di Burano. Mio padre Giuseppe, poi, ha spaccato la bestia, che era stata lasciata appesa al muro, con un'ascia. In tre pezzi nascondendoli sotto il boschetto del ciliegio. In seguito saremmo riusciti a recuperare parte di quella carne. La fame era tanta. Per fortuna i tedeschi non ci hanno fatto visita durante il periodo in cui ospitammo i partigiani. Sarebbe stata una strage. Invece, a 100 metri di distanza viveva Pasquale Fiorucci da poco tornato dalla campagna di Russia. La sua famiglia stava dando asilo ad un partigiano ferito. La storia sarebbe tragi-comica se non avesse purtroppo una conclusione assai amara.
Che cosa accadde?
Pasquale era meno scaltro di quel ragazzo di Perugia, un partigiano. Sì però che pena perché non stava bene così bazzicava a casa di Pasquale. Non poteva permettersi la stenta che facevano i suoi compagni e i rischi che correvano ogni giorno. Sentendo quanto stava accadendo allarmato, disse a Pasquale queste parole: "Senti Pasquale, fuggiamo santo Cielo! Io ci sono già passato e so che cosa significhi un macello del genere!"
Così, quando finalmente decisero di nascondersi vicino la Piana, furono visti e subito catturati. Il padre di Pasquale, Costantino Fiorucci, quando vide i tedeschi in casa sua col figlio e l'altro ragazzo, si sentì perso e terrorizzato. Quando al dunque gli chiesero se avesse mai visto quei ragazzi, lui balbettò "Non conosco nessuno di questi due". Pasquale era disperato: "Babbo, ma che dici, sei matto?" Riuscì alla fine, carte alla mano a provare d'essere stato in guerra.
Altro che Costantino e il suo: "Non so proprio chi siano!" Pasquale aveva avuto un bel da fare, dovendo poi fornire documenti e prove alla mano dell'autenticità della sua identità! Il partigiano perugino, viceversa poverino, lo hanno portato a Morena, e da lì lo hanno utilizzato fino a Secchiano, facendogli portare parte del loro bagagliaio, una volta abbandonata Morena, per poi ucciderlo vicino Fossombrone. Poverino che fine brutta, ha fatto. Ch povero sventurato.
Era in buona compagnia: c'erano anche Giuseppe Radicchi e Rigo Girelli, quest'ultimo catturato a causa della barba lunga che aveva portato i tedeschi ad identificarlo, erroneamente, come un partigiano.
Che cosa successe domenica 7 maggio 1944?
Il babbo Giuseppe e la mamma Maria erano andati a Cavaniucci dal contadino, mentre io mi ero recato a cercare Erminio Polidori. Era andato a messa, così col mio amico Mario Polidori, siamo andati al Podere, a cercare Mauro Camilloni. Non trovandolo, perché anche lui era alla funzione, abbiamo visto i tedeschi arrivare da Valforata, passare la Casaricca, poi giungere sino a Morena. Avevano sparato di già ad Anania Martinelli, ed alla figlia Giovanna.
(Anania era stato colpito alla tempia destra. Una pallottola che grazie al Cielo non fece danni e che gli permise di vivere una lunga vita. Sempre in sua compagnia. La figlia Giovanna venne invece colpita a una gamba e da allora ha sempre zoppicato).
Al podere intanto arrivarono due tedeschi. Ci spinsero dentro e chiesero al capo di casa Arduino Camilloni, dove fossero i partigiani. Minacciavano di fare kaputt e di buttare Arduino dentro il forno acceso per infornare il pane.
La sorella, Giulia, accompagnò poi uno di loro in giro per la casa e per le stalle, per far vedere che non c'era nessuno. Mentre succedevano queste cose, abbiamo cominciato a vedere fumare Morenaccia, la chiesa e Morenella.
Righino viveva dove adesso abita Marco Polidori. La sua casa era ormai andata persa e lui s'era diretto a casa di Nazareno dove avrebbe trascorso la nottata.
Lo spaccio i tedeschi lo avrebbero fatto saltare il giorno dopo, al momento della partenza.
Una volta libero dai tedeschi, sono corso per un fossato ed ho incontrato mio padre. Da lui ho saputo che avevano sparato anche a Miro ed a Donati.
Decisi di trascorrere la notte da mio zio Achille Polidori. Il lunedì mattina mi ero acquattato presto in un campo del Doglio, quando ho sentito un fragore tremendo. Lo spaccio di Morena era saltato ed una nuova storia andava riscritta.
Tanti i luoghi dove il giovane babbo e i vicini di casa amavano nascondersi.
Grotte dove trascorrevamo la notte per paura che i tedeschi potessero catturarci e ucciderci. Una era nel Birello il fiumiciattolo di Morena e un'altra nel bosco vicino casa.
Dov'era don Marino la domenica in cui bruciarono la chiesa?
Se la diede a gambe levate, come tutti del resto, scivolando verso Morenella, e restando nascosto dietro un ginepro sino a buio inoltrato. Poi raggiunse Col di Cistone, dove si trovava anche la famiglia Brunelli.
La leggenda, ovvio, offre un'altra storia e a noi piace che la leggenda rimanga.... ;-)
Babbo, avevi fatto amicizia con qualcuno dei partigiani in particolare?
Michele. Dopo la guerra avevamo addirittura "segato le traverse" insieme a Picciati anche se non era troppo portato per questo mestiere. Era primo di dieci figli e avrebbe voluto sistemarsi qui da noi. Faceva il filo a una ragazza di San Benedetto ma non gli andò bene.
Anna Maria Polidori