Franco Fiorucci racconta la sua vita "Americana"
Franco Fiorucci classe 1926 è un signore bassino, un pò tarchiato, sempre con il sorriso sulle labbra. Aria affabile, paciosa. Folta criniera "Una rarità per la mia età e ne vado fiero" sorride mentre spiega quanto sia stata intensa la sua vita. Lo fa davanti a un bel bicchiere di vino rosso, il camino acceso e le ombre del passato che tornano a rimaterializzarsi mentre iniziamo una lunga chiacchierata che, partendo dai nostri luoghi ci condurrà lontano.
“Sono nato a Casale piccola frazione vicina a Pianello di Cagli. Nove fratelli. Mia mamma decise infatti di mettersi con mio padre sebbene ci fossero ben trentadue anni di differenza tra loro!
Andò così: la mamma perse in guerra il babbo così quest'uomo distinto, Tommaso cominciò a girarle intorno. Sa: voleva fargli da ruffiano, trovargli qualcuno. La mamma così un giorno gli fece una sorta di dichiarazione: "Senti bello, tu sei anziano ormai, a me serve un uomo con cui stare e sono sufficientemente giovane per garantirti un pò di spasso. Ho altri due figli e so che a casa tua da mangiare non mancherà mai. Che ne dici?"
Al babbo non parve il vero". Anna aveva poco più di 40 anni quando si mise con questo distinto signore ormai d'età avanzata ma benestante. Figlio di un veterinario, Tommaso aveva creato con la precedente moglie Antonia, nove figli.
"Quattro maschi: Vincenzo che viveva a Saint Louis, in Missouri, poi Ubaldo che abitava a Cagli, Francesco e Domenico il più piccolo".
E le femmine Franco? "Antonia, Margherita, Teresa, Filomena, Agostina".
Una vera ciurma.
"Sì ma con tanti non ci siamo mai conosciuti per ragioni anagrafiche. Altri li ho conosciuti ma ci siamo poi frequentati poco e così...La mamma aveva avuti due figli con il precedente marito, Novelia e Adamo”.
Un vero amore questo di Tommaso e Anna coronato dalla nascita di Franco Fiorucci. "Il babbo diceva sempre che per riempire un letto devi metterci una giovane accanto a un vecchio perchè dona fertilità e possibilità di nuove nascite".
Nel vostro caso ha funzionato
"Sì è vero. Sono stato l'ultimo e alcuni fratelli di primo letto di mio padre non li ho manco mai conosciuti. Uno però, Vincenzo, mi aiutò a entrare negli Stati Uniti. Quando volai in America quel mio fratello era già anziano. Viveva a Saint Louis in Missouri. Mi indicò San Francisco come méta da prediligere perché specificò "Lì c'è lavoro, ti troverai bene. Ci vedremo un giorno", aggiunse. Invece morì senza che potessi conoscerlo".
Quando Franco aveva sei anni la famiglia decise di andare a abitare vicino a Caibelli. “Mi prendevo cure delle venticinque pecore che avevamo dopo la scuola che frequentavo a Caileto. Portavo dietro la cartella con i compiti da fare nel campo". Eh sì perché una volta i bambini crescevano in fretta. Al posto di video-giochi o svaghi c'erano responsabilità molto più grandi della loro età.
"Qualche volta le pecore scappavano via e io a rincorrerle per riacciuffarle, però tanto lo sapevo che sarebbero tutte ritornate a casa alla fine della giornata".
Franco ha anche vissuto un terribile delitto dove rimase uccisa sua zia a colpi di ascia. "Che cosa orribile. Dicevo sempre al babbo: ho tanta paura, chiudiamo bene la porta di casa così le persone cattive non entrano babbo e non ci faranno del male".
La decisione della famiglia di fare un salto di qualità e andare a vivere a Cagli avvenne per varie ragioni. " Una terribile frana che stava facendo passare notti insonni al babbo. Alcuni suoi amici e soprattutto un fratello gli fecero notare come avrei potuto giovarmi di un'istruzione migliore. In più la città a quel tempo comportava molta meno stenta della campagna".
I genitori non solo si sono voluti tanto bene in vita ma hanno scelto perfino di morire insieme.
"Andò così, sconcertante ma vero. Il babbo si ammalà a 80 e passa anni di una brutta polmonite. Resistette poco tempo in quelle condizioni Quando capì che la fine era vicina decise che si sarebbe sposato con la mamma. Così fecero quel pomeriggio di tanti anni fa. Alle nove di sera morì. La mattina, la ragazza che veniva a imparare il mestiere di sarta dalla mamma, Tonina di Campo del Corniolo arrivò come sempre puntuale. Sembrava che andasse tutto bene quando udì la mamma esclamare: Oddio Tonina corri, corri, vieni qui, mi sento male. Sto morendo. La ragazza, poverina tutta spaventata fece appena a tempo a adagiare la mamma in un letto dove spirò. In una camera c'era gente che vegliava il babbo. Nell'altra la mamma. A noi ci venne a prendere in Maremma un amico, Benni con la 500. Abbiamo dormito quella notte in una capanna. La mattina siamo arrivati dopo il lungo viaggio. Ci avevano aspettato per la sepoltura".
La mamma di Franco Anna era una donna eccezionale per come la ricorda lui: "Il meglio di noi Camilloni via. Va detto. Tagliava, cuciva, tingeva abiti. Era molto generosa. Gli altri andavano avanti con la tessera, noi avevamo la casa stipata con un'immensità di grano e tanti altri prodotti. Il babbo commerciava il bestiame. Gli altri figlioli erano tutti sistemati". Franco di fatto, non ha mai conosciuto la povertà nemmeno quando questa aveva un nome e forse anche un cognome.
Franco scopre precocemente quella che sarà la passione che lo guiderà e accompagnerà per tutta la vita: la falegnameria. Sempre nel suo cuore.
"Ho cominciato a imparare in tenera età. Andavo alle elementari a Cagli e quando tornavo a casa dopo pranzo andavo a imparare il mestiere da Italo Corsini. Eravamo in tutto tre-quattro ragazzini. Ci divertivamo un sacco”.
Grazie a questo precoce apprendistato Franco comincia a lavorare ben presto. “Non creda però che siano subito arrivate grandi soffisfazioni. Non avrebbero potuto. Ho alternato all'inizio la falegnameria a altri mestieri più pesanti e mi sono fatto aiutare da un collega, Giovanni Carbone cui devo molto. Mi diceva: Tu prendi il lavoro. Ti aiuto io, non ci sono problemi. Sa: ancora dovevo affinare le tecniche e prendere la mano. Normale”.
Avere qualcuno su cui contare, indispensabile.
Intanto Franco inizia a guardarsi attorno. Frequenta due o tre ragazze durante la sua giovinezza e alla fine la sua scelta cade su Mafalda con cui decide di sposarsi e metter su famiglia.
“Avevo demolito la casa dove avremmo abitato e l’avevo ricostruita. Avevo lasciato dietro a me debiti per cinque milioni e mezzo di lire. Andavano estinti”.
Sì, ma come fare?
Dopo il matrimonio e un passo che all'inizio poteva apparire più lungo della gamba la decisione di Franco: "Abbandonare" Cagli e famiglia per andare a Genova con Giovanni per lavoro.
"Si guadagnava bene e avevo bisogno di sistemare quella pendenza" spiega Franco sorridendo. Adesso è tutto passato ma per lui quella era stata una grande e comprensibile preoccupazione.
"Dopo un periodo abbastanza lungo la cooperativa ci invia agli olandesi. Una nave passeggeri necessitava di essere ristrutturata internamente”.
I ricordi che un uomo può avere di Amsterdam? "Beh via le case chiuse..." Non mi dica..."Sì, osservavamo da fuori, sa. Le prostitute più belle erano nelle vetrine in basso per attirare ancor più clienti. Quelle più bruttine relegate ai piani superiori".
Poi il ritorno a casa per recarsi quasi subito a Ancona per lavorare agli interni delle navi. “Le pareti delle navi sono tutte in legno. Ecco: lì sono diventato abile con le scale in legno. Lì mi specializzarmi soprattutto in quelle.
Nella mia vita ho sempre cercato di lavorare sfruttando la situazione”.
Con il duro lavoro Franco riesce a pagare i primi quattro milioni e mezzo della casa. Ne rimane fuori uno però...
Il destino vuole anche che ci sia un ulteriore salto di qualità: grande, bello. Prende il nome di Stati Uniti.
“Quel mio fratello di primo letto di cui le dicevo prima , mai conosciuto era gentile e amavo intrattenere con lui una fitta corrispondenza. Ci scrivevamo spesso. Parlando parlando gli chiesi una volta se fosse stato possibile lavorare in America e in caso se poteva farmi la richiesta di lavoro. Non ci pensò su due volte.
Passarono però da quella prima richiesta molti anni quando un giorno venni contattato dal console che mi disse in quel momento c’era disponibilità.
Non ci pensai su due volte. Era il maggio del 1967 quando arrivai a San Francisco.
Per fortuna c’erano tutti i miei paesani”.
Prima di fare il falegname però ce ne è voluta.
“Ho iniziato con il portare via l’immondizia. Stendevamo un telo per terra e poi ci buttavamo l’immondizia e poi via sul camion. Certe volte i vermi scivolavano nella camicia. Alcuni ragazzi neri che lavoravano con me quando mi vedevano in difficoltà mi dicevano: lascia lascia, facciamo noi, siamo più alti di te, ti troviamo in difficoltà. Erano bravi. Gli volevo un gran bene”.
Un rimpianto: “Dopo un pò che lavoravo per quell'azienda della nettezza urbana mi venne proposto di acquistare una quota dell'azienda. L'operazione sarebbe costata 19.000 dollari. Avrei fatto soldi. Quando tornai a casa sei anni e mezzo dopo quella mia quota valeva sul mercato 60.000 dollari. Pazienza...”.
Franco va avanti.
“Sei mesi dopo l’arrivo mi sono ricongiunto con la famiglia nella nostra casa al numero 23 di Jasper Street.
Mafalda, mia moglie, Sauro e Anna Rita i miei due figli hanno trovato il frigorifero pieno di cose buone da mangiare e una casa dignitosa. Avevo acquistato mobili di seconda mano e una lavatrice che girava con la manovella. La padrona non mi ha mai fatto pagare l’affitto perché le avevo risistemato l’abitazione. Lei aveva pagato tutto il legname. Io ci avevo messo la mano d’opera ”
Franco racconta l'aneddoto del ricevimento della lettera di Franco da parte di Mafalda e Anna Rita. La lettera in cui veniva spiegato loro che presto sarebbero finalmente volati tutti in America.
"Anna Rita era nel campo a parare le pecore quando Mafalda ricevette la lettera. Gliela portò. La bambina fece un salto di gioia incredibile e si mise a strillare: "Andiamo in America, andiamo in America a trovare il babbo, evviva, evviva."
Intanto Franco cambia lavoro e passa a Gallo Salame.
Con il duro lavoro Franco riesce a pagare i primi quattro milioni e mezzo della casa. Ne rimane fuori uno però...
Il destino vuole anche che ci sia un ulteriore salto di qualità: grande, bello. Prende il nome di Stati Uniti.
“Quel mio fratello di primo letto di cui le dicevo prima , mai conosciuto era gentile e amavo intrattenere con lui una fitta corrispondenza. Ci scrivevamo spesso. Parlando parlando gli chiesi una volta se fosse stato possibile lavorare in America e in caso se poteva farmi la richiesta di lavoro. Non ci pensò su due volte.
Passarono però da quella prima richiesta molti anni quando un giorno venni contattato dal console che mi disse in quel momento c’era disponibilità.
Non ci pensai su due volte. Era il maggio del 1967 quando arrivai a San Francisco.
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Per fortuna c’erano tutti i miei paesani”.
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Prima di fare il falegname però ce ne è voluta.
“Ho iniziato con il portare via l’immondizia. Stendevamo un telo per terra e poi ci buttavamo l’immondizia e poi via sul camion. Certe volte i vermi scivolavano nella camicia. Alcuni ragazzi neri che lavoravano con me quando mi vedevano in difficoltà mi dicevano: lascia lascia, facciamo noi, siamo più alti di te, ti troviamo in difficoltà. Erano bravi. Gli volevo un gran bene”.
Un rimpianto: “Dopo un pò che lavoravo per quell'azienda della nettezza urbana mi venne proposto di acquistare una quota dell'azienda. L'operazione sarebbe costata 19.000 dollari. Avrei fatto soldi. Quando tornai a casa sei anni e mezzo dopo quella mia quota valeva sul mercato 60.000 dollari. Pazienza...”.
Franco va avanti.
“Sei mesi dopo l’arrivo mi sono ricongiunto con la famiglia nella nostra casa al numero 23 di Jasper Street.
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Mafalda, mia moglie, Sauro e Anna Rita i miei due figli hanno trovato il frigorifero pieno di cose buone da mangiare e una casa dignitosa. Avevo acquistato mobili di seconda mano e una lavatrice che girava con la manovella. La padrona non mi ha mai fatto pagare l’affitto perché le avevo risistemato l’abitazione. Lei aveva pagato tutto il legname. Io ci avevo messo la mano d’opera ”
Franco racconta l'aneddoto del ricevimento della lettera di Franco da parte di Mafalda e Anna Rita. La lettera in cui veniva spiegato loro che presto sarebbero finalmente volati tutti in America.
"Anna Rita era nel campo a parare le pecore quando Mafalda ricevette la lettera. Gliela portò. La bambina fece un salto di gioia incredibile e si mise a strillare: "Andiamo in America, andiamo in America a trovare il babbo, evviva, evviva."
Intanto Franco cambia lavoro e passa a Gallo Salame.
"Una grande realtà. Certo era faticoso e distante dal mio mestiere di falegname". Ogni sera al ritorno, dopo cena l'immancabile caffè e un bicchier di vino in un bar gestito da una famiglia siciliana poco lontano da Jasper Street.
Una sera il ragazzo dietro al bancone gli chiede;: "Tu sei falegname vero?" Franco s'illumina e capisce che forse è arrivato il suo momento". "Sì" risponde speranzoso. Il ragazzo: "Senti, un tizio a Polk Street cerca un altro lavorante perché il signore che lavorava per lui deve andare in pensione”.
Franco ammette che l'ansia era tanta: "Li chiamai subito e fissammo un appuntamento per il sabato mattina". Di buon'ora Franco si prepara. Polk Street via già famosa per l'antiquariato e da sempre punto di riferimento per chi voglia dare un tocco di stile alla propria abitazione.
quella mattina più radiosa del solito. All'appuntamento il suo capo gli fa: "Devo andare. Spero non le dispiaccia. Nel mentre mi farebbe la cortesia di prepaprarmi un table coffee? Gliene sarei grato. Lo voglio vedere pronto al mio ritorno”.
Franco è illuminato: "Feci così. Al suo ritorno il table coffee era più che pronto e il posto assegnato a me con grande piacere".
La famiglia di Pietro Aloi, i gestori di questo negozio di antiquariato comincia a diventare per Franco e per la sua famiglia un altro puntodi riferimento.
"Lavoro a parte, mi volevano un gran bene. In passato questa famiglia aveva una proprietà nella campagna californiana.
Una sera il ragazzo dietro al bancone gli chiede;: "Tu sei falegname vero?" Franco s'illumina e capisce che forse è arrivato il suo momento". "Sì" risponde speranzoso. Il ragazzo: "Senti, un tizio a Polk Street cerca un altro lavorante perché il signore che lavorava per lui deve andare in pensione”.
Franco ammette che l'ansia era tanta: "Li chiamai subito e fissammo un appuntamento per il sabato mattina". Di buon'ora Franco si prepara. Polk Street via già famosa per l'antiquariato e da sempre punto di riferimento per chi voglia dare un tocco di stile alla propria abitazione.
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quella mattina più radiosa del solito. All'appuntamento il suo capo gli fa: "Devo andare. Spero non le dispiaccia. Nel mentre mi farebbe la cortesia di prepaprarmi un table coffee? Gliene sarei grato. Lo voglio vedere pronto al mio ritorno”.
Franco è illuminato: "Feci così. Al suo ritorno il table coffee era più che pronto e il posto assegnato a me con grande piacere".
La famiglia di Pietro Aloi, i gestori di questo negozio di antiquariato comincia a diventare per Franco e per la sua famiglia un altro puntodi riferimento.
"Lavoro a parte, mi volevano un gran bene. In passato questa famiglia aveva una proprietà nella campagna californiana.
Poi, per far contento il figlio che amava la falegnameria e i mobili, decisero di vendere la proprietà rimanendo però a certi patti con i nuovi proprietari: avrebbero potuto andare a prendere un pò della frutta dei tanti alberi da frutto che c'erano nella loro ex abitazione. Ogni volta che si recavano in campagna per riportare della frutta una o due casse erano per me e per la mia famiglia. Non lo potrò mai dimenticare".
Pietro Aloi amava la scherma. "Ma sa le volte che arrivava con la spada porgendomi a me l'altra e chiedendomi di duellare? Gli dicevo sempre: signor Aloi, sono in servizio. E se adesso sbucasse suo figlio e mi trovasse a duellare con lei? Che cosa direbbe?" Sa che cosa mi rispondeva? "Fiorucci Fiorucci, ma di che cosa ti preoccupi? Qui ancora è tutto mio e faccio quel che voglio io. Mio figlio non può dire un fico secco!"
Il negozio di Aloi era proprio prestigioso. "I mobili antichi arrivavano tanto dall'Inghilterra che dall'Italia. In più c'erano quelli che venivano commissionati e che facevam noi artigianalmente".
Intanto la famiglia di Franco comincia a vivere la vita americana con grande entusiasmo. San Francisco è bella, accogliente, aperta. "Come non avrebbero dovuto? Non abbiamo mai utilizzato il riscaldamento. C'era sempre un tempo magnifico. Le case in legno aiutano e sono più calde di quelle italiane. Negli inverni più rigidi semmai avevamo acceso qualche volta la stufetta al bisogno, ma le assicuro che è successo pochissime volte".
Ma perché allora tornare in Italia nell'incertezza economica dopo sei anni e mezzo di concretezza e benessere?
“Sarei rimasto però mia moglie e mia figlia sentivano la nostalgia di Cagli. Sauro mio figlio si era integrato così bene. Aveva una ragazzetta in America e penso che lì avesse trovato la fortuna. Amava l'ambiente, aveva fatto amicizia con tanta gente e addiritttura una famiglia una volta in pensione gli avrebbe ceduto il proprio ristorante (e che ristorante!) dove lavorava.”
La vita però ha voluto riportare tutta la famiglia a Cagli. I soldi erano sufficienti per acquistare il magazzino di vendita legname ora gestito dal figlio Sauro. “Glielo dissi: decidi che cosa vuoi fare. Quando mi aprì il cuore e mi disse che sarebbe tornato in Italia definitivamente pensai che questa sarebbe stata la soluzione migliore".
L'America è scomparsa del tutto Franco?
"Macché. Ogni tanto riceviamo telefonate oppure visite dagli amici di Sauro".
Ora Franco che cosa fa?
"Ogni giorno vado alla Bocciofila di Cagli dove ritrovo i miei amici di sempre oppure faccio conoscenza con nuova gente che arriva anche da lontano per giocare con noi. Bocce a parte, c’è un locale adibito al gioco delle carte e mi piace trascorrere i pomeriggi così adesso che sono in pensione”.
Anna Maria Polidori
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