Friday, June 11, 2004

Maria Laura Franciosi and the Marcinelle's disaster.

Maria Laura Franciosi mi accoglie nel castello di proprietà di suo zio, la Badia di Castel d’Alfiolo, presso Padule.

Gentile e ferma, notevole curriculum, nasce a Napoli, per poi trascorrere

gran parte dell'infanzia a Gubbio dove frequenta il liceo classico per poi laurearsi in scienze politiche a Roma. Frequenta corsi per interprete d'inglese e francese.

Viene individuata dalla RAI che la porta con sè e le affida alcuni incarichi.

E' lei la traduttrice dell’evento dello sbarco sulla luna di Amstrong

nel 1969, quando Tito Stagno grido’, appena il LEM si poso’ sul suolo lunare, “Sono atterrati, sono atterrati” senza attendere il segnale da Houston. Uno scoop ante litteram insomma! In Italia, scriveranno i giornali sull’evento, sono atterrati due volte sulla luna!

Lavora come traduttrice e interprete per poi approdare all’insegnamento alla London School of Economics di Londra come unica titolare della cattedra d'italiano.

Li’conosce il suo futuro marito, lo scozzese architetto William Thuburn, con

cui avra’ due figli, Dario e Giulio.

Rimane nella prestigiosa università londinese per tre anni per poi

rientrare a Roma dove ha cominciato a lavorare presso l’Universita’ di Roma, Facolta’ di Lingue e letterature Straniere, e contemporaneamente, per conto della BBC, la rete televisiva britannica pubblica, ha curato un corso di lingua italiana, scrivendo il libro “Punti di vista", trasmesso dalla emittente inglese in venti puntate. Il corso era corredato da materiale audiovisivo usato per anni anche dalle facolta’ britanniche di lingua italiana come quella di Cambridge. Qualche anno fa, in occasione della cerimonia di laurea del figlio Dario a Oxford, ha incontrato il professore titolare della cattedra di italiano dell’universita’. Uno scozzese che parlava italiano perfettamente. “Dove ha imparato cosi’ bene l’italiano?” gli ha chiesto Maria Laura curiosa. La risposta del professore l’ha lasciata senza parole: “Ho seguito un corso alla BBC che me l’ha fatto amare”. Il corso si chiamava “Punti di vista” proprio quello curato anni prima da Maria Laura! Il professore ha cominciato a lodarlo, assicurando che lo scopo del corso, svelare l'italiano nella sua quotidianità e colloquialità, era stato perfettamente raggiunto, almeno nel suo caso!.

In Italia Maria Laura si dedica anche all'insegnamento presso istituti privati inglesi

ed americani romani, e presso scuole pubbliche italiane.

La passione per il giornalismo pero’ e’ in agguato. Comincia a lavorare per giornali economici della capitale fino a giungere all'Agenzia ANSA nel 1977, dove ha lavorato sino allo scorso anno come corrispondente del servizio esteri prima da Roma, poi da Londra e infine da Bruxelles. Attualmente collabora con “Il Sole 24 Ore” da Bruxelles.

La permanenza in Belgio l’ha spinta a pubblicare, nel 1996, un libro sulla vicenda dei minatori italiani in Belgio, giunti li’ nel periodo tra le due guerre ma soprattutto dopo la seconda guerra mondiale quando in Italia mancava il lavoro per molti. Gli italiani sapranno di questo esodo silenzioso solo dieci anni dopo, nel 1956, quando l’8 agosto, l’immane disastro nella miniera del Bois du Cazier a Marcinelle spezzo’ le vite di ben 262 minatori, di cui 136 italiani. Molti di loro, una quarantina, provenivano dall’Abruzzo e specie da un piccolo centro vicino Chieti, Manoppello. Morirono per asfissia, a 1000 metri di profondità, mentre la miniera bruciava sulle loro teste.

Il libro “…per un sacco di carbone” e’ stato pubblicato dalle ACLI del Belgio. E’ un poderoso volume di 400 pagine piene di fotografie e documenti, e con le storie di ben 150 minatori, delle loro mogli e figli, molti dei quali si sono ora inseriti nel tessuto sociale del Belgio.

Molti degli italiani che si erano recati a “cercar fortuna” nelle miniere del Belgio, provenivano dal Veneto, dalla Toscana, dai tanti paesini dell’Appennino e delle Alpi ma tanti erano anche gli abruzzesi, gli umbri e i marchigiani. Poi arrivarono a migliaia i siciliani, per lo piu’ braccianti, ma molti provenivano anche dalle miniere di zolfo e salgemma, dove avevano iniziato spesso a lavorare all’eta’ di 5-6 anni. Ora i siciliani rappresentano la maggioranza degli oltre 330.000 italiani residenti in Belgio.

Dopo la guerra, l'Italia sconfitta fu costretta a chinare il capo e nel giugno del '46

firmava, sotto il governo d’unità nazionale, un accordo per la richiesta di manodopera voluto dalla Federazione Carbonifera e dal governo Belga. Oltre 200.000 italiani giunsero nell’arco di alcuni anni nelle miniere del Belgio. Molti sono rimasti in Belgio, ma la terribile malattia chiamata silicosi non li ha risparmiati.

Lo stipendio mensile oscillava dalle 2.400 lire alle 3949, per il minatore più

specializzato.

L'accordo intercorso tra lo Stato italiano e quello belga prevedeva per ogni

invio di 1000 minatori l'esportazione di 2.500 tonnellate di carbone con una produzione di carbone standard. Ma il quantitativo da esportare poteva essere aumentato se di carbone se ne produceva di piu’. Un modo per incitare i minatori a produrre di piu’, anche a scapito della loro sicurezza.

Oltre a Marcinelle, gli incidenti furono tanti, migliaia di italiani persero la vita in miniera. Il carbone veniva ceduto alla Carbolio di Milano. Che pero’ l’utilizzo’ per poco tempo. Dopo l’avvio del Piano Marshall, infatti, il carbone americano venne venduto a prezzi piu’ competitivi. Anche quello polacco costava meno. Ma i minatori italiani rimasero per finanziare con le loro rimesse il risanamento delle disastrate finanze del loro paese, come facevano tanti altri italiani emigrati in altri paesi europei o in America. “Quando e’ arrivato a casa il mio primo stipendio – racconta un minatore siciliano la cui storia e’ stata raccolta da Maria Laura nel suo libro – s’e’ scassato il paese!”. Per forza! Il denaro inviato alla moglie ha scombussolato il paese perche’ e’ servito a pagare i debiti accumulati presso lo spaccio, che ha potuto a sua volta tacitare i suoi creditori e ricominciare ad acquistare beni di prima necessita’. L’Italia cosi’ rinasceva anche grazie al sacrificio di tanti italiani abbandonati a loro stessi in condizioni di lavoro difficili e pericolose. E che ora tanti hanno dimenticato.

Qual era però l'iter per poter essere presi a lavorare in miniera'?

Di certo una sana e robusta costituzione: un gruppo di medici belgi e italiani si occupavano delle visite d'idoneità. Dopodichè una volta entrati in Belgio, fornite le generalità e prese le impronte digitali, si cominciava subito a lavorare, a mille metri di profondita’, senza nessun addestramento specifico. E gli incidenti fioccavano.

I nostri connazionali trovano brutte sorprese anche sul versante degli alloggi. Vere e proprie baraccopoli, senza possibilità di migliorie immediate, perche’ anche il Belgio era un paese che usciva dalla guerra ed era rimasto a lungo sotto occupazione nazista. . Il contratto con la miniera, della durata di un anno, rinnovabile per altri quattro ma sempre con lavori in miniera, portava dritti in galera coloro che intendevano reciderlo prima della scadenza.

Solo col tempo la situazione cominciò a cambiare. Dopo una disgrazia che ha aperto gli occhi su un mondo, quello dei minatori, duro ed aspro.

Il libro di Maria Laura Franciosi è completo, ricco di immagini che ci mostrano le famiglie dei minatori e loro stessi, con le tante testimonianze che spiegano la vita mineraria. Si presenta arricchiato di documenti e di foto inedite e preziose. Un tomo che gli estimatori di storia contemporanea dovrebbero contendersi. Una storia semplice e cruda, trattata con tatto e dignità.

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