Tuesday, May 14, 2024

Praga, poesia che scompare di Milan Kundera

 Praga, Poesia che Scompare


di Milan Kundera è un'analisi lucida, razionale ed assolutamente affascinante della cultura praghese, occidentale per definizione, dopo la guerra, orientata ad Est per obbligo. Come Kundera rimarca nel suo pamphlet, talvolta i piccoli Paesi arrivano a comprendere prima di tutti gli altri i fatti che accadranno. E lo faranno tramite la letteratura, la musica, e saranno implacabili. Questo è quanto accade con Kafka e la condizione esistenziale dell'uomo e il labirinto burocratico nel quale sarebbe entrato senza più uscirne, l'idiozia militare di Hasek e la disperazione concentrazionaria di Janacek. I centri considerati minori dai grandi Stati Occidentali in verità, sono quelli che riescono ad afferrare nel bene e nel male i sentori del tempo che stiamo vivendo. Un mondo, quello del XX secolo, già visto in maniera conflittuale, e schicciante, con un uomo che perde identità. Così, se da una parte Proust e Joyce saranno ancora i massimi rappresentanti della centralità dell'uomo, e, nel caso di Proust, della bellezza che scaturisce da immagini sfolgoranti, da luoghi di incanto, già nell'Europa Centrale l'uomo pena, è schiavo di questi tempi moderni che tutti e tutto schiacciano. Non ha più una sua identità, e soprattutto, soffre nell'anonimato. 

Una storia quella di Praga assai complessa ma che Kundera ricostruisce sino ad arrivare alla rivoluzione del 1968, quando, in gran parte la letteratura ha rallentato di molto la fertilità tipica di quel territorio.


Conoscevo già Ottantanove Parole. Kundera si è sempre lamentato dei suoi traduttori. Una volta addirittura, racconta, uno gli ha mostrato una sua foto, per dirgli che da quella traeva ispirazione. In realtà pochissimi traduttori traducevano Kundera dal ceco. Molti conoscevano altre lingue, inglese, francese e si poggiavano a quelle. A loro volta chi magari aveva tradotto in inglese o francese aveva apportato vigorose modifiche, così un giorno il direttore di Le Débat" gli chiese di scrivere quelle che lui riteneva essere le "sue parole."

E qui le ritrovate.


Davvero bello. Mi ha fatto pensare agli intellettuali di un tempo ed alla solidità, erudizione di pensiero che c'era una volta.


Anna Maria Polidori 

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