Sivori e la sua ricetta per vivere bene: Combattere "l'ignoranza volontaria" e disimparare tutto quello che di peggio abbiamo imparato. Parola di attore di teatro. Eclettico e alla perenne scoperta di sé e dei tanti volti dell'anima
Parlare di teatro con un addetto ai lavori così illustre un'emozione immensa perché è una disciplina che ho sempre amato. Mai come a teatro un artista mette a nudo il proprio talento. Mai come a teatro un attore racconta in presa diretta e in diretta comunicazione con il pubblico quanto c'è di più profondo a livello esistenziale e emotivo.
L'importanza del teatro nasce da lontano. Se pensiamo che ancora oggi ci sono discipline come la psichiatria e la psicologia che si rifanno al complesso di Edipo, alla crudeltà di Medea, opere tragiche greche nate ben prima di Cristo per spiegare drammi moderni allora possiamo senza ombra di dubbio asserire che non solo il teatro sa leggere la realtà, ma è eterno e vive e sopravvive ai suoi stessi creatori per sempre.
Signore e signori consegno a voi la mia intervista con Sergio Sivori . Cinquanta minuti di chiacchierata al cellulare "Oddio s'è scaricata perfino la batteria..." mi manda un messaggio su Facebook più tardi Sergio in panico. Tutto andato bene, intervista più che compiuta, rispondo felice.
Sergio ha una voce bella, i suoi pensieri sono veloci e alti. Un pò arrabbiato con un sistema che al momento permette ben poca creatività.
Ma questo lascio che sia lui a dirvelo.
Cominciamo dalla sua Napoli Sergio....
"Mi sono trasferito a Roma per ragioni di lavoro, trenta anni fa. Ho sempre mantenuto un ottimo rapporto con la mia città natale. Certo, non c'erano tante occasioni di lavoro a Napoli. Avevo inoltre voglia di fare un diverso tipo di teatro. Un teatro di ricerca, quando me ne andai via. Sentivo la necessità di dovermi allontanare da determinate cose e situazioni.
Alla fine sono andato via perfino dall'Italia. Da quattro anni vivo in Spagna".
Come mai un cambiamento così radicale?
"Venne dettato da una mia profonda esigenza di ricercare qualche cosa di diverso. Da noi tutto è sinonimo di provincialità".
In che senso?
Il problema è che la realtà è il riflesso di quanto poi è stato prodotto a livello culturale durante questi anni. Sono state immesse sul circuito tante persone che non sono a mio avviso sufficientemente competenti. Non è possibile fare entrare nuove leve. Chi lavora è per forza di cose costretto a imitare e emulare l'eccellenza arrivata all'apice dopo tanti sacrifici".
Insomma, pare di capire che ci sia in giro ben poca originalità. Qual'è il maggior difetto del teatro più "ufficiale" secondo lei?
"Lo trovo al momento poco aderente con la realtà. Il teatro per come viene concepito dalla gente è creato per un pubblico medio-alto, borghese.Tranquillo. Ormai il teatro non è più per come almeno lo intendiamo in tanti, solo sinonimo di palcoscenico. È possibile fare rappresentazioni ovunque. Sono ottime le compagnie indipendenti in tutta Italia. Il mio è un teatro indipendente. Voglio essere sempre costantemente connesso alla realtà per poi trasporla a teatro. Non so e non posso decodificare se quanto rappresenterò scalfirà gli animi degli spettatori. So che quello è quanto voglio dare loro".
Per Sivori il teatro indipendente: "Ha una forza dirompente. Molto più potente di quello cittadino a mio avviso. Se ci mettiamo insieme tutti, siamo migliaia".
Quello di Sergio è stato però un percorso intimo tutto suo e personale.
"Sì, ho fatto anche teatro convenzionale e tournée in tutta Italia. Ho girato in lungo e in largo anche la sua bella Umbria. Il teatro più convenzionale è quello di intrattenimento. Io voglio fare qualcosa di diverso. Non sono infatti legato tanto all'originalità della storia in sé ma a come metto in relazione lo spettatore con l'attore. Non sono tanto interessato a raccontare storie quanto a far rilucere un mestiere".
Un limite della critica?
"In genere vanno a vedere i soliti noti. Suggerirei loro di spaziare maggiormente e scoprire nuove compagnie. Questa grande isola del teatro impegnato raccoglie centinaia di migliaia di persone".
Lei ha fatto anche fictions.
"Tantissime e sono legato a ciascun prodotto".
Qual'è la differenza sostanziale tra la Spagna dove vive, e l'Italia?
C'è un'organizzazione più seria in Spagna, una qualità eccellente. Produttori capaci e ho la netta sensazione che siamo più seguiti".
Secondo Sivori la cultura è andata scemando in Italia.
Avanzo l'ipotesi che forse la crisi ha allentanto i consumi in termini di giornali, libri, uscite al cinema, a teatro abbattendo di fatto un settore che ovvio, produce fertilità intellettuale.
"Non sono d'accordo. La cultura è dentro di noi sennò cadremmo nell'ignoranza più totale. In più abbiamo una potente tradizione orale nel nostro Paese. No, creda: questa è ignoranza volontaria".
Che cosa intende per ignoranza volontaria?
"Chiudere il mondo a compartimenti stagni. Ignorare quello che non va a genio. Vede: io posso essere un attore ma interessarmi a tanti altri settori del vivere umano. Adesso i giovani sono interessati solo a certe cose e faticano a aprirsi e esplorare orizzonti diversi da quelli che conoscono. Anzi: sembra che l'andazzo sia proprio questo: io voglio ignorare. Eppure se ci pensa bene i grandi pittori del passato erano così eclettici. Conoscevano la scultura, l'architettura, le scienze, la matematica".
Vero: una volta non c'era una netta separazione dello scibile umano. L'Umanesimo e il Rinascimento (Leonardo insegna) anzi, ci avevano comunicato che le conoscenze umane potevano andare tutte a braccetto e dovevano tutte essere conosciute in maniera completa. Non era difficile incontrare un mago al contempo matematico, chimico, pittore e chissà quale altra cosa poteva essere.
La separazione dello scibile umano. avvenuta in tempi più recenti ha creato confusione e maggiore aridità intellettuale e schematismi di varia natura.
"Sa che cosa le dicono oggi tante persone? Io voglio ignorare. Poi, certo la società civile, la politica non ci ha aiutato. Anzi: a volte il messaggio che filtrava era che la cultura non fosse così indispensabile".
C'è una ricetta, potentissima e originale che Sergio propone:
"Dobbiamo disimparare tutto quello che di peggio abbiamo imparato. D'altra parte che cosa rappresenta l'arte? Sublimazione della quotidianità. Sì perché ci sono solo dei pochissimi momenti importanti nella nostra esistenza: la nascita e la morte. Tutto il resto o quasi è mera quotidianità. L'arte, la cultura ci aiutano a vivere meglio e in maggior armonia con gli altri".
Senta Sergio lei si lamenta della poca cultura dei nostri ragazzi. Ha figli? E come li ha cresciuti?
"Sì ho una figlia e come capirà è cresciuta in un ambiente molto fertile e culturalmente e creativamente. Ha una bella voce e la passione per il canto, le piace la musica e adora la pittura. Vede? Il bello del teatro è proprio questo: partire con le caravelle per le Indie come fece Cristoforo Colombo per poi magari approdare in America. Iniziare con un'esperienza per poi andare incontro a altre realtà e a ulteriori crescite esistenziali".
Senta Sergio lei aveva provato a entrare all'Accademia di Arte Drammatica di Roma. Mi dica la verità: come tutti quelli che non ci sono riusciti conserva un pò il dente avvelenato?
"L'Accademia? No, non avrebbe fatto al caso mio. Ognuno di noi lavora e sa come andare avanti".
Perfino doppiatore della Buitoni in Spagna Sergio mi spiega che al momento è in atto in Italia uno sciopero dei doppiatore a oltranza.
Me ne parli. Non mi dica: dovremo vederci tutti i films in originale?
"Se la vertenza non si risolve..Il rischio che non vengano doppiati c'è. Voglio essere solidale con i colleghi. Non c'è un contratto da tanto tempo e in particolare i tecnici e le maestranze saranno quelli che subìranno più problemi. L'idea è quella di innalzare da 3 a 4 ore il doppiaggio inserendo anche altri prodotti durante il doppiaggio ad esempio di un film. Secondo noi la qualità potrebbe ridursi".
Il lavoro di attore...
"Non creda che un attore sia un privilegiato. Mai. La televisione non può sempre offrire lavoro a tutti. Un attore è colui che si occupa di tematiche sociali, che porta avanti discorsi anche molto impegnati. Non riduciamo sempre tutto alla foto patinata o al fotogramma di una fiction".
Senta lei è entrato a far parte della scuola di Jerzy Grotowski.
"Sì dopo Stanislavskij è la figura più importante. Aveva un laboratorio teatrale in Polonia. Non ho però lavorato con lui. L'avessi fatto a inizio degli anni '80... Ma ero impiegato al Teatro Stabile di Palermo. In seguito ho conosciuto a Taormina il lavoro di Peter Brook e da lì ho pensato: voglio fare questo. Quell'impegno a teatro forse mi aveva perfino impigrito mentalmente, chi lo sa? Idealmente mi trovo in questi riformatori. Ho iniziato a leggere Jerzy Grotowski nel 1982 e certi concetti ancora non li comprendevo oppure li ritenevo difficili da accettare".
Addirittura?
"Ha visto Picasso? Il suo cubismo?"
Sì.
"Picasso ha liberato la pittura dalla noia. Eppure i suoi primi dipinti erano normali. In genere noi tutti nel percorso esistenziale che facciamo siamo obbligati o comunque incanalati a essere quello che la società ci dice di essere. In seguito viviamo altre evoluzioni personali".
Anna Maria Polidori
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