Saturday, November 09, 2024

Notes from an Island and The Island by Tove Jansson translated by Thomas Teal

 Notes from an Island and The Island  




by Tove Jansson with paintings by Tuulikki Pietilä translated by Thomas Teal is a new book released by Timber Press. Oh, everyone fell in love for the books by Tove Jansson. 

In this one, so interesting, there is her existence spent in the island she had chosen with the partner for more than 20 years. 

Tove Jansson was born in 1914 in Finland, when the country was still under the Russian Empire, dying at 87 years in an independent country. She was part of a creative family. Her mother was an illustrator and her father a sculpture.

In 1945 as answer to the last World War that left her paralyzed in her ability as a painter, she created this first book of the Moomin, that nice family-trolls that we started to know so well when we were little, and adults, as well :-)

Oh, it was wonderful! Thanks to this first success she obtained a work in a newspaper as cartoonist. She worked at the Moomin till at 1959 when she left it to her brother. Tove had three careers: one as children's book writer and illustrator, another one as a painter and the third one as author of literary novels. Although she spaced in different fields, she has been exceptional everywhere.

Her husband, Tuulikki Pietilä is called in this book Tooti. They lived in peace in their island of Klovharun.

They decided to start to live in an island, something that the couple did for more than 20 years, in 1963. They built a cabin with the help of a local. To them living in an island meant  living in solitude although Tove had previously appreciated other situations involving islands in her existence. 

Their life was pretty wild and they adored it! They searched for fish, they search for wood, they lived in strong connection with nature: for example, apart for their boat called Victoria, an essential tool of their existence, they loved to sleep  in a tent, close to their cabin, sometimes leaving the main house, let's call in this way the cabin, for their numerous guests from the city where Tove was born, Helsinky. They spent magical moments in the wild but in the mid '70s, they understood that maybe it was also better to keep something more human close to them for being able to reach someone in case they needed some help. In 1991 they decided to donate their cabin to local hunters abandoning the island without any other return. 

This book, Notes from an island, was put together by Tove after 4 years, from their traumatic decision of abandoning that island, she had loved so badly. Her husband in the while in the mid '70s had done several drawings of the island. 

There are passionate entires that Tove give us back. Memories, of their dream of a cabin, the way they dreamed it.

Tove describes her life in the island: "I don’t know how it happened, but life became very simple and I just let myself be happy. Tooti cut a hole in the ice for our garbage. We grew quieter and quieter and went about our daily chores as if we’d each been there alone. It felt very relaxed".

They assisted at strong natural phaenomenons, and they also organized a special birthday for her granny of 83 years. 

They haven't never been too abandoned. When there were tempests or situations appeared to be critical, an helpicopter afforded to the area for trying to understand if they were OK. 

Tove writes down some lines in one of the entries on living in an island: " It’s possible that living with one other person makes you quiet, at least on an island. The things you say are mostly just about everyday stuff, and if the everyday goes normally you say even less".

One day she imagined someone looking into their house seeing "The tranquil picture of two people sitting opposite each other at the table with the lamp, each of them doing her own work without the need to say a word".

Leaving an island: "There is a delicate balance between the absolute calm of arrival and the stress of departure".

In An Island the last essay by Tove, that place means freedom: " You walk around your island. No one can come, no one needs to go, you feel completely at ease. The clocks stopped quite a while ago and it’s a long time since you wore shoes. Your feet find their own way; confident and independent, they’ve grown as sensuous as hands".


Highly recommended book! 



Maria Polidori 


Wednesday, November 06, 2024

Come Praga divenne Magica di Franco Cardini

Praga è una città favolosa. È magica, è particolare. Ti strega, non potrai più dimenticarla. Ho vissuto visceralmente questa città nel 1989. Quasi subito dopo la nostra visita il Comunismo sarebbe caduto. L'ho visitata in un momento particolare e ricordo ogni istante come fosse stato ieri. Quando è uscito questo nuovo libro di Neri Pozza su Praga Come Praga divenne Magica 


di Franco Cardini ho richiesto subito di leggerlo. È davvero una poderosa  cavalcata in quel Medioevo che ha sancito la grandezza di questa città così signorile. Tante le leggende e i personaggi che ne hanno fatto la storia, trovate in questo libro la cronaca serrata di quel che è stato. Ho preso appunti dall'inizio alla fine. 

Praga non ha avuto una vita semplice, grazie alla sua posizione geografica. 

Noi italiani abbiamo sempre rappresentato tanto per la città ceca, colonizzandola già nell'Alto Medioevo. Il primo ad arrivare fu il futuro Sant'Adalberto  nel 992, monaco benedettino che vicino alla città avrebbe fondato un monastero, San Giorgio. 

La prima badessa, che avrebbe fondato la parte femminile invece, si chiamava Mlada ed era la sorella del principe Boleslao II. Questo principe divenne cattolico dove aver fatto un viaggio a Roma.

Il primo ponte di Praga venne realizzato in pietra nel 1160 ad opera di operai italiani. 

Un altro personaggio che ha fatto grande Praga è stata la figura di Agnese. Era di Praga ed aveva stretto una corrispondenza con Santa Chiara. Sarà lei a fondare un monastero sulle rive del Moldava.

Tanti sono stati poi i commercianti, farmacisti, venditori di tessuti di lusso, artigiani, che si diressero a Praga per commercio. Anzi: sarebbero arrivati pure i praghesi a Venezia nel XIII secolo. 

Era stato Ottocaro II a volere un interscambio così intenso  Quello che fece Ottocaro fu di tenere buoni i tedeschi, ampliare i possedimenti sino all'Adriatico. Dante lo mise nel Purgatorio. 

Ottocaro all'interno della Cancelleria aveva un italiano, tale Enrico Italiano, per l'appunto. Questo signore innestò il sistema gestionale utilizzato per il Regno di Sicilia, a Praga. Nel 1294 giunse poi a Praga Gozzo da Orvieto con l'intento di redigere un nuovo codice legislativo. Il codice ebbe così tanta fortuna che venne applicato anche alle miniere.

Venceslao II grazie al nostro aiuto coniò una nuova moneta,  il grossus pragensis che sarebbe stata una di quelle  di maggior successo del XIV secolo.

Un altro italiano, Pietro di Pontecorvo fu, durante il regno di Venceslao II cancelliere del regno di Boemia e in seguito vescovo di Olomuc.

Se questa prima dinastia, dei cosidetti Premyslidi, lanciò le basi per un futuro ancor più fulgido, poi fu la volta degli araldici lussemburghesi. Fu grazio a Carlo che fiorirono

relazioni con L'Occidente facendo del Regno Boemo un centro di civiltà europeo. 

Sarà poi lui che fonderà l'università chiamando ad insegnare tanti italiani. 

Al tempo stesso a Perugia, Bologna, Siena, arrivarono studenti boemi. Carlo IV annovererà tra le sue conoscenze anche Francesco Petrarca e Cola di Rienzo. Petrarca ebbe modo di andare a Praga, restando piacevolmente sorpreso dal livello culturale alto, dalla grande educazione, cordialità ed affabilità che aveva avuto modo di provare. 

Un altro italiano chiamato a fare lavori sarà Angelo da Firenze. Spettò a lui la creazione del primo orto botanico praghese, l'Hortus Angelicus.

Ma come nasce Praga? Da una commistione di popoli. All'inizio venne colonizzata dai Celti, poi arrivarono gli indoeuropei, gli slavi.

Tra le opere più antiche e rimarchevoli segnaliamo La Cronaca di Dalimal scritta da un canonico di Boleslav. 

Le donne furono molto importanti per il popolo Boemo e in particolare per la formazione dei suoi Stati.

Come non citare la principessa Olga, russa e svedese che nel X secolo ha dominato la storia del primo principato russo, rendendosi protagonista della prima connessione forte col cristianesimo della compagine kieviana?

Un'altra favola bella riguarda Cech e Lech e un personaggio ammantato di poesia come quello di Libuse.

Libuse era una profetessa poetessa cui tutti davano tanta stima e fiducia. Lei amava sedere sulla cima della collina, ai piedi di un sacro tiglio. Si era sposata poi con un contadino valoroso della stirpe dei Premyslidi.

Non possiamo non menzionare Cirillo e Metodio che sono stati i fondatori della lingua russa, creata dal greco. Questi due monaci aiuteranno la diffusione dei testi fondanti la nuova religione. Il X secolo apparterrà a Venceslao, San Venceslao. È un periodo, quello dei premyslidi che vedrà pietas religiosa accanto a violenza sanguinaria.

I sassoni furono gli ultimi a convertirsi. 

Venceslao, intanto, era stato cresciuto dalla nonna con fede cristiana. La madre di Venceslao fece tutto quel che potè, incluso assassinare la nonna di Venceslao per far sì che questo  credo non prendesse troppo piede. Venceslao venne ucciso quindi da suo fratello Boleslao. Ludmilla, la nonna di Venceslao venne assassinata invece dalla mamma di Venceslao, Drahorima.

Quello era un periodo di enorme conflittualità e competizione tra la chiesa cattolica e quella neonata Bizantina. Ovviamente quest'ultima era promossa a

 gran voce Cirillo e Metodio. Venceslao comunque, durante la sua vita dedicò la cattedrale a San Vito. La scelta cadde su questo santo perché Enrico I L'Uccellatore gli fece dono di una scapola del santo. Ricordiamo che San Vito è patrono degli attori e dei ballerini. 

Boleslao assieme ad Adalberto accelerò la cristianizzazione dei Paese fondando la chiesa di San Lorenzo. Questa chiesa poggia le basi su un tempio pagano. Adalberto verrà assassinato in Polonia da gente contraria alla cristianizzazione.

Successivamente le reliquie di questa persona, che presto sarebbe diventato Sant'Adalberto vennero trafugate e portate a Praga, nella cattedrale di San Vito.

Le mura che Venceslao aveva eretto accoglieranno nella città vecchia la bellezza di 3500 persone

Ci sono poi stati dei personaggi particolari come Dalibor, condannato a morte (sarebbe morto di fame) grande virtuoso di violino, questo strumento gli salvò la vita perché ogni giorno la gente chiedeva di sentirlo suonare e gli lasciava qualcosa da mangiare. Nel 1169 sorse intanto il primo ospedale e nel 1226 venne fondato dai frati predicatori il Convento di San Clemente.

Bonifacio VIII riconfermò  la supremazia del Papato su ogni altro principato suscitando molte proteste.

Nel 1360 intanto Praga sarà afflitta da un problema: i senza-tetto, le persone prive di una dimora stabile sono ben 20-23.000, un numero altissimo. Se all'inizio il problema era questo, nel 1380 arriverà la peste che sterminerà il 10% della popolazione facendo in un mese 3000 vittime.

La gente allora tornò a rifugiarsi in Dio, pensando che la fine del mondo stava arrivando. Nel 1406 e 1407 ci sono altre due ondate di peste così come nel 1414-1415.

Scoppia una recrudescenza antisemita, quando viene ucciso un prete cattolico che stava passando per il ghetto ebraico. Fu una carneficina di ebrei.

Come poi non citare Jan Hus, le sue predicazioni e il suo allontanamento dalla città?


Un libro stupefacente, una full-immersion totale in un'epoca storica ricca di colpi di scena.

Se amate Praga, non potrete non apprezzare questo libro!


Anna Maria Polidori


Sunday, October 20, 2024

Ilaria ou la conquête de la désobéissance de Gabriella Zalapì

È un libro breve, Ilaria ou la conquete de la désobéissance di Gabriella Zalapì, edito da Editions Zoe,

ma sentito, forte, apprezzatissimo da critica e pubblico e soprattutto rimarcante importanti tematiche che riguardano padri e figli, in particolare quando ci sono dispute familiari concernenti i bambini e l'uso ed abuso che ne viene fatto.  Ricatto morale, uso egoistico dei piccoli per ferire l'ex partner.

La storia è presto detta:  un signore senza grande stabilità, un giorno decide di rapire a scuola sua figlia, la piccola Ilaria di 8 anni. Parte così con la figlioletta per un lungo viaggio che si snoderà in tutta Italia. Torino, Bologna, Roma, la Sicilia...Pensate una città italiana e probabilmente questa strana coppia ci sarà stata. Dormono in auto, alloggiano in albergo. Il padre di Ilaria beve molto, fuma troppo, è scombinato. Cerca di essere un bravo babbo per Ilaria, sebbene la ragazzina senta la nostalgia di sua sorella Ana e di sua mamma. Quando torneranno a casa? Ah: non se ne parla per adesso. Anzi! Ilaria dimentica il francese, assorbe l'italiano a ritmo della musica degli anni '80, citiamo Pupo e Battiato per tutti, e via via conosce la nostra terra anche grazie  alle cronache tremende che vedono coinvolti politici e BR. Ci sono notizie felici come il ritorno a Madrid dopo 40 anni al MoMa di New York del Guernica di Pablo Picasso nel 1981.

Un viaggio, quello che affronta Ilaria, vissuto come fosse una nomade. Conosce bambini e bambine, gioca con loro nei brevi momenti in cui si trova in un certo posto: si interfaccia con adulti gentili e cortesi. Nessuno immagina che queste peregrinazioni siano in realtà il frutto di una fuga. No: i due si presentano bene, il babbo di Ilaria è un gran mentitore. D'altronde in caso opposto come potrebbe reggere a tutto questo per così tanto tempo?

Ilaria verrà lasciata addirittura dalle suore dove Fulvio verrà a riprenderla dopo mesi, dimentico del suo compleanno che la piccola trascorrerà al luna park con una suora. La madre riuscirà a inviarle un pensiero, qualcosa che le possa permettere di colorare grazie agli sporadici contatti con il padre della piccina. 

Questo genitore infine, la porterà da sua madre e in Sicilia la bambina scoprirà tante anime gentili. C'è un finale felice e c'è Ilaria che pensa  al termine del libro: Papa se trasformerà en une pièce à l’intérieur de moi, 

Davvero toccante.


Rccomandato!


Anna Maria Polidori


Monday, October 07, 2024

Irena's Gift by Karen Kirsten

An intense book, Irena's Gift,


by Karen Kirsten,  characterized by numerous trips of the author, in the distant land of Poland. 

It's a memoir, in fact. A real story. 

No one knew, in fact, the truth on her family: no one knew that once born, her mother Joasia had been given, at first to an orphanage because her mother was dead and the father internated in a concentration camp, and later to a relative, growning-up in Australia.

Truth, like lies, define at the end the story of a family, giving to it an imprint.


Karen sometimes asked to her granny what was that curious number that there was in her hand, without receiving a proper answer: her granny hadn't never told her that she had been deported in a concentration camp.


Karen grew up with that sixth sense: you understand that there is somethung unsaid in that family, but that, at the same time, everything is perfect.


Because, after all isn't it in this way? Every family has its singularities and unicities. 


But...


One day, a distant person, living in Canada, a certain Dick, Karen hadn't never heard of him before, sent them a big envelope, asking to see them.


And so, Karen understood the reality: that her mother Joasia had been grown up by the relatives of Irena, the wife of Dick, and that Dick was, her grandfather.


Mietek and Alicja were the adopted parents of Joasia, although, she didn't know that. 


It's important to return at that distant times.


We speak of two couples pretty rich, influential Jews, in grade to going on during the last World War conflict because they were rich and they worked in Poland for Germans. There is the reconstruction of the city of Leopoli, Lwow in polish, and what the Ukrainians did to the local populations. There are observations of the author pretty remarkable and that I found interesting involving the current situation. Ukrainians at that time searched independance from Russia, helping the Nazis.


Irena and Dick were a happy couple, but at some point they were captured. Irena was killed immediately. Dick went in a concentration camp like Mietek and Alicja. The daughter of Dick was brought to an orphanage thanks to the help of an Ukrainian officer. Dick had still important jewels that passed to him. Paying, Dick obtained from the Ukrainian the certainty that the daughter would have been brought in a good and secure place.


Once the war was over,  Dick and Mietek helped the Americans with the trials that would have followed against Nazis.


At the same time, once returned home, Dick fell in love for another girl and so he decided to give to the sister of Irena, his most precious gift: his daughter Joasia.


Joasia, remembers that hasn't never been loved by Alicja. Alicja hasn't never felt a great affection for her.


Karen's mother is christian and she finds in God the best answer to her prayers. Many are the thematic told in this book: one of them is the good relationship and interaction between catholics, christians and Jews. 


Karen Kirsten afforded to Canada, and Poland, discovering also where was located the orphanage where the mother stayed, arranging a meeting of his mother with that sisters. She helped her mother to reconnect her own story with the one of Mietek, Alicja, but also Dick and Irena, visiting the place where Irena had been killed, and discovering also a family vein for music.


It is the story of a family: writing this, Keren puts an end to a history  characterized by lies and secrets.


Highly recommended.


I want to thank the author and Ann, the publicist of Kensington Books, because at first I had requested a copy to Netgalley, but time passed by and the ebook wasn't anymore available for being read. I asked to them a physical copy, because I love family-stories and I don't want to miss these ones of Holocaust, and to me this one has ben a great gift for sure. 


Anna Maria Polidori 


Thursday, September 19, 2024

Una Vita Maledetta di Gabriella Guidi

 "L’amore esiste in ogni persona, basta cercarlo". 

Termina così, Una Vita Maledetta


edito da Transeuropa prima fatica letteraria di Gabriella Guidi, scrittrice urbinate.

Il libro va al sodo della storia con stringatezza, concisione, senza dimenticare alcun aspetto. Ambientato nell'Albania più profonda, ancestrale e rurale Gabriella descrive con logica organicità una storia che vi appassionerà perché intrisa di sentimenti, empatia. Una storia sbalorditiva, che fa arrabbiare e commuovere al tempo stesso.

Un libro che al termine non potrà non farvi piangere, considerando le vicissitudini passate dai protagonisti. 

Ambientato nell'ancestrale e rurale Nord albanese, dove la vita viene regolata dalle leggi del Kanun, severe, medioevali, ci troviamo a Thet, sulle Alpi.

La vita lassù è difficile, aspra e dura. Non ci sono comodità e nelle fattorie la vita avanza con modestia, sacrificio e durezza. La famiglia dove Gabriella cala la sua storia è quella di Beshmira e Gojiart, una coppia di contadini che ha avuto la disgrazia di avere tre figlie femmine, due gemelle ed Alida. 

Se le gemelle sono più votate alla vita da donna, Alida invece riesce ad essere più versatile. Alida è innamorata di Leck, un vicino di casa. Sognano un futuro insieme, lontano dalle asperità e chiusure mentali che stanno incontrando nel luogo dove vivono. Fanno progetti, si vogliono bene.


Il Kanun, tra le varie voci, ha pure quella che regola i....regolamenti di conti.

Se viene ucciso ad esempio un uomo, ci si può aspettare una vendetta anche dopo molto tempo: se viene prestato ad un amico un fucile per uccidere una persona, chi presta il fucile viene esposto alla vendetta della famiglia dell'ucciso esattamente come chi ha premuto il grilletto.

Così, a causa di un favore che il babbo di Alida ha fatto ad un amico, prestandogli il fucile, dopo un certo tempo qualcuno gli ha sparato, non finendolo, ma riducendolo all'infermità. 

Non potendo più svolgere attività domestiche o di altro tipo, il Kanun prevede la trasformazione di una delle ragazze in un uomo. La scelta cade su Alida, che fa nascere i vitelli senza sforzo e senza essere troppo schifiltosa. Per Alida, la trasformazione in uomo è tremenda. Tremenda perché ama Leck, così diverso dagli altri uomini del posto. Con lui si sente libera di essere se stessa, senza preclusioni alcune. La sua famiglia è anaffettiva. Come scrive Gabriella tante volte, la donna lì è solo un otre e poco altro. Non ci sono diritti, non c'è libertà, ma tanta sottomissione al marito.

Alida soffre per la durezza del padre, incapace, come la madre di essere gentile e garbato con le figlie. Una persona musona, sulle sue, di poche parole, brusco.

I genitori non si erano sposati per amore: il loro era stato un matrimonio combinato come capitava spesso.


Con l'arrivo di dodici capoclan, è la madre che taglia via i lunghi capelli di Alida, le fascia il seno, e le viene messo un nuovo nome, Marson. Poi viene vestita come un uomo, perdendo così la possibilità di essere donna e realizzare una famiglia.


Ha una libertà del tutto diversa, questo è vero, che acquisisce grazie alla sua trasformazione. Può parlare, discutere, dire la sua. Il suo nuovo status viene accettata da tutti, uomini e donne incluse. Le donne vedendola passare abbassano lo sguardo, così come avrebbero fatto con un uomo, perché Alida ormai è Marson. 

Gli uomini, viceversa condividono con Marson alcol, chiacchiere, fumo, affari, bettole. 

Marson/Alida fuma, fa sbornie colossali e comincia a fare la fattrice così come ha fatto suo padre. Trova due mariti per le sorelle, segue la contabilità di casa, rifà le stalle, taglia alberi, però, quando va a letto e ricorda Leck, pensa a quello che ha passato e si rattrista, perché ama Leck e vorrebbe stare con lui. Adesso però è impossibile perché lei non può più cambiare la sua esistenza. Il padre di Alida muore e Leck come tutti gli altri, va a casa di Alina/Marson perporgere le condoglianze. I due si rivedono e Alida capisce che, nonostante i panni, nonostante le sigarette che le hanno arrotato un pò la voce, nonostante i capelli corti etutti i buoni propositi, lei è e resta Alida. L'Alida che progettava una vita con Leck.

C'è paura da ambo i lati, però sorge un proposito: Alida e Leck pensano di fuggire per raggiungere una coppia di amici che ha avuto il coraggio di andarsene in America.

Grazie a un contatto del luogo che mantiene il riserbo, Alida scrive all'amica che adesso vive a Chicago. La ragazze le invia soldi e informazioni, come ad esempio i luoghi da raggiungere per i documenti falsi, i Paesi da attraversare.

I due preparano la fuga con due biciclette per raggiungere la Bulgaria: da lì prenderanno un aereo per Madrid, e poi per il Messico.

Sono giorni stranianti per i due. Non sono mai usciti dai loro confini. Gli aeroplani li hanno visti solo sorvolare le loro zone e gli aeroporti pullulano di persone. C'è un caos che loro non riconoscono come proprio. È un altro mondo. Alida ha perplessità, perché comprende che ha tanto da imparare e chissà se verranno mai accettati essendo albanesi: e poi guarda che vestitì, santo cielo! Cade depressa ma poi torna a farsi forte grazie a Leck che le fa coraggio. 

L'ultima fuga dal Messico agli Stati Uniti è semplicemente meravigliosa. 

I due arrivano a San Diego e da lì prendono un treno per Chicago.

Chicago: uno skiline pazzesco, dove sono gli alberi? si chiede Alida. Ma non ci sono rimpianti. Alida ha lasciato con tutta se stessa la sua vecchia esistenza, stanca delle privazioni cui è stata sottoposta, stanca dell'amore della madre che non arrivava  mai. Certo, è preoccupata. Le donne della sua famiglia adesso sono disonorate. Se lei tornasse a casa la ucciderebbero per quello che ha fatto. Alida capisce che è un viaggio senza ritorno.  È scappata via senza salutare sua madre o le sorelle: chissà come si riorganizzeranno.

Una scelta di coraggio quella di Alida. Non ce la faceva più a resistere in un ambiente che l'avrebbe privata della sua femminilità e della giustezza di una vita a due con un compagno premuroso ed attento. Leck comprende e le farà capire che forse non tutto è perduto: forse quello che pensa su sua madre, dopotutto non è vero. Perché il cuore di una madre sa, comprende e può accettare. 

Anche di perdere una figlia scontenta per guadagnarne una felice. 




Anna Maria Polidori 





Wednesday, September 04, 2024

La Fin de la Conversation? By David Le Breton

 Ho terminato di leggere La Fin del la Conversation?


di David Le Breton questa mattina. Edito da Editions Metailie, Breton è senz'altro uno dei miei autori preferiti in assoluto. 


Se esiste un anestetico terrificante per non vedere, non sentire il mondo esterno, questo è lo smartphone.

Fate una prova: vi trovate in un ambiente ostile, cercate un modo per scappare via ed isolarvi, e questa terribile "bolla emotiva" vi trascinerà con sé e voi dimenticherete tutto e tutti.


Una volta la conversazione tra le persone era non solo scontata, ma anzi! ricercata. Allo studio medico, alla posta, al bar, sugli autobus, su un treno, c'era sempre una gran caciara ed era piacevole familiarizzare con qualcuno sconosciuto.

Adesso, se salite su un autobus, su di un treno, se andate dal medico di famiglia, o in posta, parlare con gli altri diventa un optional che sceglierete, ma non sarà più così indispensabile.


Eppure, la conversazione è fondamentale per l'essere umano: vedere una persona, stabilire un contatto visivo, sorridere, stare seri, emozionarci durante un suo racconto è quanto di più bello e genuino possa esserci, nonché, naturale.

Come scrive David Le Breton avere qualcuno accanto a noi con cui parliamo significa comprendere chi ci sta di fronte. I silenzi saranno comunque intervallati da respiri, e non saranno mai vuoti o fatui.

Un mondo senza visi, un mondo senza conversazioni implicherà un mondo di falsità e di tante maschere. Come è semplice mentire su internet, creare identità, utilizzare nickname, non sapere di preciso chi abbiamo di fronte.

Questa che i PC e gli smartphone hanno creato è una rottura antropologica tra le più devastanti che l'umanità abbia mai conosciuto, perché sinonimo di isolamento. Scrive Le Breton: "La conversazione sollecita un riconoscimento totale dell'altro anche a causa dell'attenzone che vi poniamo su di un livello di uguaglianza, di ascolto reciproco, di complicità eventuale che non esclude il dibattito e lo scambio di opinioni".


La conversazione è un rituale: ci troviamo di fronte ad un'altra persona, alla distanza che la confidenza ci fa assumere, con la tonalità di voce appropriata: un modo per conoscere l'altro, per rivelarcelo, dopotutto, qualche volta. La conversazione è l'arte dello stare insieme. Gli antichi la vedevano all'interno di un processo di civilizzazione.

Sono stati pubblicati trattati su come fare ottime conversazioni, come quello scritto dall'Abbé Morellet nel 1812.


Gli italiani sono un popolo che amava chiacchierare. Ricordo quando il lunedì mattina prendevo l'autobus a Perugia per andare all'università: il calcio era quantoa ccalorava più gli animi  e c'erano opinioni, schermaglie sulla partita del giorno precedente: gli uomini avevano i quotidiani aperti, leggevano, commentavano. L'altro giorno mi è capitato di salire su un autobus a Perugia ed è stato tutto così deprimente. Tanta gente che vive in una bolla, a cui non importa niente di chi gli sta accanto. Nessuno che sorrida, immersi come siamo tutti nei nostri strumenti tecnologici. Mi ha fatto una gran trsitezza.

L'autobus è diventato una sorta di casa dove cambiare le scarpe, portare con sé il monopattino ma non importerà niente a nessuno di chi c'è di fronte.


Basta il mondo che la gente ha costruito sui suoi smartphone e dove trova un "sicuro" rifugio.

Questa umanità, scrive Le Breton,  è sempre più "Precaria, frammentata, isolata, problematica". 

In futuro ci troveremo ancor più coinvolti con persone che non conosceremo mai e con cui interagiremo solo via internet. Alla fine, che cosa diventerà questa società? Magari voleremo attorno al mondo semplicemente grazie a dei macchinari, ma stando sempre qui. Un universo parallelo. 

Uno studio americano ha sottolineato come i ragazzini si sentano ancor più soli e depressi di prima: altri studi hanno evidenziato come i bambini degli anni '70 siano stati molto più liberi, attivi ed energici di questi nuovi, che, invece, vivono in una letargia assoluta, potendo fare tutto comodamente via smartphone. 

I ragazzini preferiscono chattare con gli amici  e comunque anche quando sono insieme è tutto uno scambio di files, immagini. 

La comunicazione che hanno creato questi dispositivi, afferma David Le Breton, è spettrale. Nelle famiglie le situazioni peggiori: ormai si parla pochissimo. Chi arriva, vede che cosa c'è da mangiare e poi torna a dare un'occhiata al suo smartphone, perso nel suo universo. Il problema, forse, è che non tutti gli universi sono belli.

La generazione che è stata creata è una generazione che mal tollera le idee che differiscono dalle proprie.

Qui David scrive incisivamente: "L'impressione è che la civilizzazione è qualche scelta imposta a una maggioranza recalcitrante da una minoranza che ha compreso come fare per imporre strumenti di potere e coercizione".

Ma non solo non c'è più conversazione: un altro medium, che è tra i più appassionanti, tra le altre cose, sta togliendo la parola alle persone: le immagini. C'è una bulimia di foto ovunque. Già solo con queste possiamo condividere momenti. Non è necessario poi, su smartphone scrivere scrivere ti abbraccio, ti invio un bacio. Fanno tutto le smileys per noi.

Una società come questa si regge su un pensiero che non è più critico, ma che, assume la forma di uno slogan, ma, soprattutto è un pensiero dove è possibile manipolare la verità.

Un esempio? La storia dei vaccini anti-Covid: non c'è solo una differente opinione, che potrebbe essere legittima: no, c'è la distruzione dell'altro.

In futuro assisteremo sempre di più all'utilizzo di robot per anziani, bambini. Certo, i robot non sbagliano, ma nuovamente, parleremo e interagiremo con macchine.

Intanto i bambini crescono con la "banalità dell'utilizzazione" di questi mezzi potentissimi. Il ricevimento a 11 anni di uno smartphone sancisce nientemeno che un'età di passaggio, la possibilità di avere tutto un mondo a portata di clic.

Non c'è più un reale distacco tra la vita virtuale e quella reale. 

La gente infatti va avanti ad avatar, non mostra il proprio volto, ma lo cela dietro ad un'identità costruita.

David scrive che una ragazza senza mezzi termini ha detto che il cellulare è la sola cosa che le appartenga veramente. 

L'immobilità di un mondo che pare essere così familiare crea sedentarietà, passività, autismo (non la malattia, il voler stare da soli) e per questi ragazzi, scrive Le Breton "La dissociazione è naturale".

In famiglia è normale che non si parli più quasi per niente, ciascuno assorbito nel suo mondo. ll ragazzino capisce le possibilità che ha con lo smartphone: vedere films ascoltare musica, vedere clips. 

Sottolineo questa frase di Le Breton: "L'utilizzo del cellulare autorizza il ragazzino a parole e comportamenti impensabili nella vita reale".

Questo perché? Perché le paure che ci sono nella vita reale vengono a cadere davanti ad un monitor, un tablet, uno smartphone. Gli altri non vedono chi c'è dietro.

Che cosa rappresenta la disconnessione?

"Una morte simbolica, l'impossibilità per il giovane di pensare la sua realtà nel mondo".

Non solo va male dentro le famiglie, nei mezzi pubblici, ma pensiamo agli inter-scambi tra i popoli. Che cosa c'è di più bello di passare da un continente all'altro per studio o lavoro? Un sogno per chiunque.

Bene: adesso non è più così. Un'insegnante americana ha portato i ragazzi in Spagna per vederli chattare e parlare con i colleghi rimasti in America tutto il tempo della loro permanenza. Non è più bello il mondo che li circonda ma quello dentro lo smartphone!

Eppure la nuova cultura che nasce da quella passata crea solo caos: pensiamo a Proust. Una volta veniva letto. Adesso perché leggerlo se trovo il riassunto? scrive Le Breton. Perché guardare un film se posso vedere solo le parti che mi interessano? Questa però resta una società della frammentazione: vedo solo un frammento di film, ascolto solo un frammento di musica etc.

Vivere così come fanno i più giovani significa dare solo un senso, quello circolare all'esistenza, fare in modo che ogni giorno vengano vissuti gli stessi episodi come se il tempo fosse congelato.


Credo che tante siano le tematiche sollevate da David Le Breton e su cui riflettere.

Consiglio questa lettura caldamente.


Ringrazio Le Editions Metailie per la copia del libro.


Anna Maria Polidori  



KOMINKA The Beauty and Wisdom of Japanese Traditional Folk Houses by Kazuo Hasegawa

 KOMINKA


The Beauty and Wisdom of Japanese Traditional Folk Houses by Kazuo Hasegawa is a new book released by Museyon Books. The writer has been attracted by these old houses, the Kominka, since he started to work for Jutaku Joho a housing magazine. Born in Tokyo Kazuo changed house something like 16 times always feeling a profound discomfort everytime.

Why? Because modern houses lack of romanticism, of a vision and mainly....of character!  In the while the Kominka were completely abandoned to themselves. Sometimes they were falling down because no one was interested in these old houses. But...asks the author: was it normal this behavior? No, of course. 

So Hasegawa started to taking pictures of these houses, exposing solo collections of pictures, writing in newsmagazines and magazines of this situation, because, maybe, it was still a topic not too known.

Plus, what Kazuo noticed was that in foreign countries people love to take great care of old estates. In general these houses tend to be bought, and taken in consideration. Why didn't happen the same with the kominka?

The book is divided in several sections: in the first part you will find the significance of kominka. There will be also the introduction at two Americans who decided to live in a kominka.

The second part let us show the most beautiful kominka and villages and where they are: the third one is about the kominka of the author. Kazuo created also an association for preserving old houses. Honestly I didn't have any clue that these fascinating old Japanese houses were living a moment of crisis. It is an interesting book for sure.

The kominka in the description made by Kazuo:

"Constructed according to time-honored timber frame methods, kominka houses are scattered throughout Japan. They are found along the coast, in the mountains, and in remote rural hamlets, once powerful castle towns, hospitable post towns, and spiritual temple towns. They range from fishing village folk cottages and thatched-roof farmhouses to merchant mansions and dwellings for lower-ranked samurai. And since each region in Japan has its own unique culture and climate, a region’s old houses reflect and accommodate those conditions."


Highly recommended book.


Anna Maria Polidori