Ho terminato di leggere La Fin del la Conversation?
di David Le Breton questa mattina. Edito da Editions Metailie, Breton è senz'altro uno dei miei autori preferiti in assoluto.
Se esiste un anestetico terrificante per non vedere, non sentire il mondo esterno, questo è lo smartphone.
Fate una prova: vi trovate in un ambiente ostile, cercate un modo per scappare via ed isolarvi, e questa terribile "bolla emotiva" vi trascinerà con sé e voi dimenticherete tutto e tutti.
Una volta la conversazione tra le persone era non solo scontata, ma anzi! ricercata. Allo studio medico, alla posta, al bar, sugli autobus, su un treno, c'era sempre una gran caciara ed era piacevole familiarizzare con qualcuno sconosciuto.
Adesso, se salite su un autobus, su di un treno, se andate dal medico di famiglia, o in posta, parlare con gli altri diventa un optional che sceglierete, ma non sarà più così indispensabile.
Eppure, la conversazione è fondamentale per l'essere umano: vedere una persona, stabilire un contatto visivo, sorridere, stare seri, emozionarci durante un suo racconto è quanto di più bello e genuino possa esserci, nonché, naturale.
Come scrive David Le Breton avere qualcuno accanto a noi con cui parliamo significa comprendere chi ci sta di fronte. I silenzi saranno comunque intervallati da respiri, e non saranno mai vuoti o fatui.
Un mondo senza visi, un mondo senza conversazioni implicherà un mondo di falsità e di tante maschere. Come è semplice mentire su internet, creare identità, utilizzare nickname, non sapere di preciso chi abbiamo di fronte.
Questa che i PC e gli smartphone hanno creato è una rottura antropologica tra le più devastanti che l'umanità abbia mai conosciuto, perché sinonimo di isolamento. Scrive Le Breton: "La conversazione sollecita un riconoscimento totale dell'altro anche a causa dell'attenzone che vi poniamo su di un livello di uguaglianza, di ascolto reciproco, di complicità eventuale che non esclude il dibattito e lo scambio di opinioni".
La conversazione è un rituale: ci troviamo di fronte ad un'altra persona, alla distanza che la confidenza ci fa assumere, con la tonalità di voce appropriata: un modo per conoscere l'altro, per rivelarcelo, dopotutto, qualche volta. La conversazione è l'arte dello stare insieme. Gli antichi la vedevano all'interno di un processo di civilizzazione.
Sono stati pubblicati trattati su come fare ottime conversazioni, come quello scritto dall'Abbé Morellet nel 1812.
Gli italiani sono un popolo che amava chiacchierare. Ricordo quando il lunedì mattina prendevo l'autobus a Perugia per andare all'università: il calcio era quantoa ccalorava più gli animi e c'erano opinioni, schermaglie sulla partita del giorno precedente: gli uomini avevano i quotidiani aperti, leggevano, commentavano. L'altro giorno mi è capitato di salire su un autobus a Perugia ed è stato tutto così deprimente. Tanta gente che vive in una bolla, a cui non importa niente di chi gli sta accanto. Nessuno che sorrida, immersi come siamo tutti nei nostri strumenti tecnologici. Mi ha fatto una gran trsitezza.
L'autobus è diventato una sorta di casa dove cambiare le scarpe, portare con sé il monopattino ma non importerà niente a nessuno di chi c'è di fronte.
Basta il mondo che la gente ha costruito sui suoi smartphone e dove trova un "sicuro" rifugio.
Questa umanità, scrive Le Breton, è sempre più "Precaria, frammentata, isolata, problematica".
In futuro ci troveremo ancor più coinvolti con persone che non conosceremo mai e con cui interagiremo solo via internet. Alla fine, che cosa diventerà questa società? Magari voleremo attorno al mondo semplicemente grazie a dei macchinari, ma stando sempre qui. Un universo parallelo.
Uno studio americano ha sottolineato come i ragazzini si sentano ancor più soli e depressi di prima: altri studi hanno evidenziato come i bambini degli anni '70 siano stati molto più liberi, attivi ed energici di questi nuovi, che, invece, vivono in una letargia assoluta, potendo fare tutto comodamente via smartphone.
I ragazzini preferiscono chattare con gli amici e comunque anche quando sono insieme è tutto uno scambio di files, immagini.
La comunicazione che hanno creato questi dispositivi, afferma David Le Breton, è spettrale. Nelle famiglie le situazioni peggiori: ormai si parla pochissimo. Chi arriva, vede che cosa c'è da mangiare e poi torna a dare un'occhiata al suo smartphone, perso nel suo universo. Il problema, forse, è che non tutti gli universi sono belli.
La generazione che è stata creata è una generazione che mal tollera le idee che differiscono dalle proprie.
Qui David scrive incisivamente: "L'impressione è che la civilizzazione è qualche scelta imposta a una maggioranza recalcitrante da una minoranza che ha compreso come fare per imporre strumenti di potere e coercizione".
Ma non solo non c'è più conversazione: un altro medium, che è tra i più appassionanti, tra le altre cose, sta togliendo la parola alle persone: le immagini. C'è una bulimia di foto ovunque. Già solo con queste possiamo condividere momenti. Non è necessario poi, su smartphone scrivere scrivere ti abbraccio, ti invio un bacio. Fanno tutto le smileys per noi.
Una società come questa si regge su un pensiero che non è più critico, ma che, assume la forma di uno slogan, ma, soprattutto è un pensiero dove è possibile manipolare la verità.
Un esempio? La storia dei vaccini anti-Covid: non c'è solo una differente opinione, che potrebbe essere legittima: no, c'è la distruzione dell'altro.
In futuro assisteremo sempre di più all'utilizzo di robot per anziani, bambini. Certo, i robot non sbagliano, ma nuovamente, parleremo e interagiremo con macchine.
Intanto i bambini crescono con la "banalità dell'utilizzazione" di questi mezzi potentissimi. Il ricevimento a 11 anni di uno smartphone sancisce nientemeno che un'età di passaggio, la possibilità di avere tutto un mondo a portata di clic.
Non c'è più un reale distacco tra la vita virtuale e quella reale.
La gente infatti va avanti ad avatar, non mostra il proprio volto, ma lo cela dietro ad un'identità costruita.
David scrive che una ragazza senza mezzi termini ha detto che il cellulare è la sola cosa che le appartenga veramente.
L'immobilità di un mondo che pare essere così familiare crea sedentarietà, passività, autismo (non la malattia, il voler stare da soli) e per questi ragazzi, scrive Le Breton "La dissociazione è naturale".
In famiglia è normale che non si parli più quasi per niente, ciascuno assorbito nel suo mondo. ll ragazzino capisce le possibilità che ha con lo smartphone: vedere films ascoltare musica, vedere clips.
Sottolineo questa frase di Le Breton: "L'utilizzo del cellulare autorizza il ragazzino a parole e comportamenti impensabili nella vita reale".
Questo perché? Perché le paure che ci sono nella vita reale vengono a cadere davanti ad un monitor, un tablet, uno smartphone. Gli altri non vedono chi c'è dietro.
Che cosa rappresenta la disconnessione?
"Una morte simbolica, l'impossibilità per il giovane di pensare la sua realtà nel mondo".
Non solo va male dentro le famiglie, nei mezzi pubblici, ma pensiamo agli inter-scambi tra i popoli. Che cosa c'è di più bello di passare da un continente all'altro per studio o lavoro? Un sogno per chiunque.
Bene: adesso non è più così. Un'insegnante americana ha portato i ragazzi in Spagna per vederli chattare e parlare con i colleghi rimasti in America tutto il tempo della loro permanenza. Non è più bello il mondo che li circonda ma quello dentro lo smartphone!
Eppure la nuova cultura che nasce da quella passata crea solo caos: pensiamo a Proust. Una volta veniva letto. Adesso perché leggerlo se trovo il riassunto? scrive Le Breton. Perché guardare un film se posso vedere solo le parti che mi interessano? Questa però resta una società della frammentazione: vedo solo un frammento di film, ascolto solo un frammento di musica etc.
Vivere così come fanno i più giovani significa dare solo un senso, quello circolare all'esistenza, fare in modo che ogni giorno vengano vissuti gli stessi episodi come se il tempo fosse congelato.
Credo che tante siano le tematiche sollevate da David Le Breton e su cui riflettere.
Consiglio questa lettura caldamente.
Ringrazio Le Editions Metailie per la copia del libro.
Anna Maria Polidori
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