Nell'Uomo Tutto deve Essere Bello di Sasha Marianna Salzmann
è un libro di Marsilio.
L'ho preso in mano centinaia di volte, ma ogni volta non era quella giusta. Non riuscivo a entrare nella storia. Per fortuna adesso è successo. È più che mai la biografia di Lena, questa, e di sua figlia Edi, con, allo sfondo, i traumi passati e presenti di un mondo in evoluzione: quello dell'Unione Sovietica prima e del crollo del comunismo dopo, con tanto di occidentalizzazione dei cittadini.
Troviamo all'inizio Lena che una volta completati gli studi è costretta a opere di corruzione per entrare nella facoltà di medicina, una prassi più che consolidata. La madre malata da così tanti anni da aver dimenticato quando tutto cominciò, muore. Ma non può essere per la ragione addotta da quella dottoressa che la curava, che li aveva spennati e che, semplicemente era orribile, pensa Lena.
Vuole approfondire, Lena, ma suo padre non se la sente e l'ombra strisciante della malattia mentale fa pensare alla dottoressa di neurologia che segue la ragazza, che forse è meglio per lei specializzarsi in un altro reparto. Così sarà una dermatologa. Durante una visita si innamora di un ragazzo musulmano di origine cecena con cui se la spassa. Quando si accorge però di essere rimasta incinta il ragazzo la molla su due piedi e lei ripiega in Daniel.
Con lui e la piccina dopo il crollo del comunismo decide di andarsene a vivere in Germania. La bambina all'inizio avrà le sue difficoltà ma poi crescerà bene e diventerà una giornalista precaria, con l'ansia, dove possibile di visitare l'Ucraina o la Cecenia per seguire la guerra, cosa di cui Lena è fortemente contraria. Non vuole perdere questa figlia.
Quali le idee espresse in questo libro?
Trascrivo un passaggio dalle considerazioni del babbo di Lena.
"Sai come si chiamava ai tempi la città in cui sono nato? Stalino. In onore di quello che ha cercato di farci morire di fame. La nostra gente si mangiava a vicenda. E ora, sullo stesso suolo sono i nostri che ci stanno facendo morire di fame. Chiudono un confine e dicono a un vecchio che può crepare. E i russi ci fanno camminare per venti chilometri per un pò di cibo."
Gli occidentali vengono visti come osservatori che non possono comprendere che cosa stia accadendo e c'è insofferenza, polemica, verso gli ucraini che bloccano l'accesso ai russi nel Paese: vengono citate mamme orgogliose d'avere in guerra i figli.
Non so come descrivere la cosa ma in questo libro non c'è gioia o ansia di libertà: semmai quel che si respira è una continua prigionia, sofferenza e claustrofobia, accompagnata da durezza che investe tanto le protagoniste che i Paesi ex comunisti presi in esame.
Anna Maria Polidori