Una delle figure più importanti della mia infanzia e di Gubbio ci lascia per un arresto cardiaco a Cuba
Quando ho appreso la notizia della morte di Giancarlo Bellucci detto Carlinga (per me era Sandokan) infermiere del reparto di pediatria quando ero piccina, mi è crollato il mondo addosso. Un altro pezzo della mia infanzia ritornato in cielo.
Ho conosciuto Giancarlo, quando da piccola ero ricoverata al reparto di pediatria, dove ho trascorso gran parte dell'infanzia, delle elementari. Dall'età di tre anni ero un ospite quasi fisso per malattie, adesso,diventate curabili a casa. Un bambino vive i giorni o le settimane in ospedale con una percezione diversa di suoni, colori,odori rispetto a quella dell'adulto. Credo che le voci ovattate che arrivavano dalle altre stanze siano state la prima percezione di un mondo esterno lontano e appannato. Un mondo "a riposo".
Una volta mi misero nel primo lettino della stanza vicino al muro e utilizzai le fredde pareti per poggiarci i piedi caldissimi per la febbre e ottenere un pò di ristoro.
A quel tempo il reparto di pediatria era collegato a quello della maternità. Spesse volte le urla più atroci giungevano dalle gestanti in fase di travaglio. Passavano sempre da noi. Certe volte potevamo vedere i bambini nelle incubatrici.
La mattina ci portavano il tè e anche le paste. Il cannolo era quello che prendevo più spesso sebbene uno dei miei problemi fosse l'inappetenza. Una volta non volevo mangiare più. Un'infermiera mi portò solo del brodo con una cannuccia. "Dài Anna, prova questo sennò muori". La prospettiva di morire alla fine non era così allettante. Tornai a mangiare. Ricordo le tante letture, da Topolino, ero capace di far riportare la copia in edicola alla mamma se era disastrata, "Santo cielo, guarda che roba ti hanno dato. È tutta sgualcita" a Red e Toby Nemici-Amici un classico della Disney, fumetti di fantasmi, manuali delle Giovani Marmotte.
"Vogliamo mettere delle biglie all'entrata delle stanze? E magari dei bacinellini d'acqua? Così i medici cadono e s'inzuppano. Sai tu che ridere!"
Non abbiamo mai concretizzato scherzi del genere. Il primario Fratteggianni incuteva rispetto e affidabilità.
Le Barbie vista la pubblicità nei giornalini erano un ulteriore desiderio. "Voglio questa, e questa...". Avevo un rapporto strano con queste bambole.
Prima gli "rompevo" le ginocchia, rendendole insomma umane e poi ci giocavo. Stessa cosa con Cicciobello. Gli toglievo un occhio così potevo giocarci felicemente.
Il Cicciobello che a noi bambine ricoverate piaceva di più era quello cuo dovevamo dare il biberon. Il fatto che il latte scomparisse dal biberon quasi per magia una grande attrazione.
Però uno dei giochi che mi piaceva più di tutti era quello di gonfiare i palloncini. I loro colori vivaci mi hanno sempre attratto come una calamita. Lo consideravo un passatempo rilassante e gioioso. Passavo ore a gonfiare palloncini e a giocarci con gli altri bambini. Smisi quando una parente mi disse che un bambino era morto soffocato a Roma con un palloncino. Da allora smisi di giocare con i palloncini. Mai spaventare bambini perché le fobìe restano e non ho saputo o letto mai notizie di morìe di bambini per via dei palloncini.
L'amicizia con gli altri piccoli pazienti era automatica sebbene non scontata e avessimo anche noi compagni d'avventura preferiti.
Ho visto diverse volte i Ceri dall'ospedale.
Credo d'averci passato il Natale o giù di lì perché un anno, impegnata con l'aereosol alla fragola di giorno che veniva fatto nello stanzino dove c'era la tv, buono tutto sommato, ricordo che la sera ci ritrovavamo lì a guardare grandi e piccini una storia di Gesù Bambino.
Le infermiere qualche volta mi portavano con loro quando si cambiavano d'abito. Per me quel cambio di divisa era un momento magico. Da persone normali diventavano angeli protettrici della nostra salute. Al loro arrivo mi predevano in braccio, mi davano bacio, erano carinissime.
Pensavo fosse bello essere riconosciuta quando tornavo all'ospedale per altre ragioni e tutti a salutarti. Mi faceva sentire importante.
Dopo, una nuova consapevolezza: avendoci trascorso mesi, ero una di famiglia. Questa nuova consapevolezza mi riempiva di tristezza.
Giancarlo...Per me Giancarlo non era Giancarlo, ma Sandokan, il personaggio creato da Emilio Salgari. Credo fosse stata la mamma visti i suoi lunghi e folti capelli neri a avergli messo questo soprannome. Oppure entrambe perché ci piaceva vedere in tv Sandokan.
Un giorno la mamma mi portò in braccio fuori dalla stanza. Mi disse: "Guarda, c'è Sandokan".
Il primo ricordo che mi sale alla mente di Giancarlo...
Stava telefonando. Era girato di spalle. I lunghi capelli che gli cadevano sulle spalle.
Quando lo vidi, così alto, robusto, con i capelli lunghi, pensai: sì, dev'essere lui, Sandokan.
Amavo quel personaggio virile, bello e al tempo stesso coraggioso e impetuoso. Così mi tranquillizzai. Il personaggio di Salgari stazionava all'interno del reparto di pediatria di Gubbio. Ero in una botte di ferro. Non mi sarebbe successo nulla di male.
Sandokan aveva un modo tutto suo di fare scherzi.
Entrava in camera, la mano con la siringa dietro la schiena e ti diceva: "Anna è l'ora della puntura". Ricordo che mi sistemavo diligente, per poi scoprire che non era vero e la cosa mi faceva infuriare tutte le volte e Sandokan a ridere per la burla riuscita. Quando era vero non ci credevo più e Sandokan doveva implorare e farmi vedere la siringa con il farmaco sennò non ci credevo.
Sandokan era fatto così. Voleva strapparti un sorriso e lo faceva nei modi più inusuali. Con lui non eri mai malata, non avevi niente. Riusciva a rendere l'ospedalizzazione giocosa.
Mi teneva spesso in braccio. Era così alla mano!
Un giorno s'era messo a tirare, seduto placido sul terrazzo del reparto di pediatria i gavettoni a un tizio che s'era appollaiato su un albero. Siamo usciti tutti per vedere che stava combinando. Ve l'ho detto, i palloncini da noi andavano forte, con o senza acqua. Ne avevamo risorse inestinguibili. Credo avessimo partecipato tutti alla creazione di quelle opere d'arte d'acqua. Non ho idea chi fosse stato quel malcapitato. Era però una bella giornata di sole.
L'infermiere a cui ho voluto più bene di tutti è stato Sandokan, sebbene siano stati tutti fantastici.
Sandokan era il più particolare di tutti perché era selvaggio. E questo suo essere selvaggio lo rendeva ancora più simpatico. Con i bambini ci sapeva fare. Amava i bambini per davvero. Le sensazioni dei piccoli non sbagliano mai e Sandokan era una persona incredibile e genuina.
Parlava con me, si sincerava che andasse tutto bene. Mi tirava su il morale. Era schietto, alla mano e mi voleva bene. Non perché quello fosse il suo lavoro, no. Perché aveva a cuore le nostre vite, le nostre infanzie e sapeva quanto fosse importante confortare bambini depressi, giù di morale.
Grazie davvero Sandokan. Non sarai mai dimenticato.
Da un'ex bambina della pediatria di Gubbio che ti ha voluto un grande bene e ti ha sempre considerato il mio più grande eroe dell'infanzia.
Anna Maria Polidori