Saturday, March 16, 2024

La principessa Brambilla di E.T.A. Hoffmann

È uscito lo scorso febbraio un nuovo libro de L'Orma Editore, La Principessa Brambilla di E.T.A. Hoffmann.


L'autore dello Schiaccianoci, scrive questo racconto geniale  dopo aver ricevuto stampe della Commedia dell'Arte dall'incisore francese Jacques Callot ed aver letto tutto lo scibile in termini di libri sulla vita trascorsa in Italia dai suoi contemporanei. Influenzato da Goethe e dal suo libro, Il Carnevale Romano, sebbene Hoffmann non abbia mai messo piede a Roma, riesce a comprendere lo spirito della città, così come anche quello della festa. 

Favola complessa, unica e spiazzante, i personaggi principali  sono il sarto Bescapi, il truffaldino Celionati, la fantomatica principessa Brambilla,  la sartina Giacinta Soardi, Giglio Fava e il principe esotico Cornelio Chiapperi.


Che cosa vuol dire Brambilla? Brambilla, significa bramabile ma anche Chiapperi ha il suo significato: colui che vuole acchiappare e fare sua la bramabile principessa. 


La storia in realtà si dipana in pochi luoghi ma di grande effetto: via del Corso, piazza di Spagna, dove vive il sarto Bescapi, il Caffè Greco, ritrovo degli artisti tedeschi, la chiesa San Carlo tra via del Corso e via Condotti, luoghi preferiti dall'equivoco Celionati, e per finire via del Babuino, dove vive l'abate Chiari, piazza Navona e Palazzo Ruspoli.


Hoffmann torna ad utilizzare uno schema a lui caro: un personaggio munito di alcuni oggetti magici che possa far trascorrere al protagonista ore favolose. Lo fa usando Celionati.


Celionati è un ciarlatano che trasformerà il nostro eroe in una maschera eccentrica, caricaturale, l'unica che la principessa potrebbe apprezzare, in fondo. Giglio Fava smania d'incontrare la sua principessa Brambilla. Una follia che gli fa trascurare il resto, lo spinge e pensare solo a lei. Perde il lavoro e tutta Roma ha sulle labbra questo povero attore, una volta di talento, ora diventato folle. 

Celionati continuerà a lavorare per tutto il racconto spingendo Fava a pensarsi e ad agire come fosse un principe. Se un re una volta aveva sposato una mendicante, non potrebbe una principessa  innamorarsi di un attore di quart'ordine?


Giglio arriverà a dire di essere Cornelio Chiapperi perché Fava è morto durante un duello. 

Questa parte del racconto è interessante perché parliamo di sdoppiamento totale dell'essere ma anche di maschere che si sfidano. Ogni colpo andato a segno sui loro vestiti, ha, in realtà un significato profondo: la scalfittura del costume potrebbe causare il disvelamento di chi si cela sotto, la perdita di questa identità fittizia e della stessa vita che essa rappresenta. Per questo le maschere ricuciono, riaggiustano, prima di continuare, esattamente come noi curiamo tagli e ferite. Il costume è la loro pelle e la loro essenza. Può morire una maschera? Sì. Succede a Petruska, personaggio russo ucciso dal Moro, ma in quel caso parliamo di una creatura mai stata umana, che priva i sentimenti delle persone.


Dopo uno sdoppiamento totale, Giglio rinsavirà e tornerà a comprendere la realtà, così come chiunque persona torni alla vita e come successe a Maria una volta risvegliatasi dal sogno vissuto grazie al magico schiaccianoci.


È, a pensarci bene, un libro forte questo di Hoffmann: il Carnevale viene vissuto nella sua essenza: la perdita d'identità per assumerne un'altra. La favola ci parla di duplicità, di un io distorto, capovolto, smarrito, con personaggi e oggetti magici che frastornano, confondono il personaggio principale sino a farlo smarrire, sino a fargli credere di non essere più chi sia in realtà ma solo una maschera. Una maschera stupenda, di un principe lontano. Un personaggio in mano a tante persone che ne fanno quel che vogliono: essi stesse maschere carnevalesche sebbene non ne portino addosso alcuna, ma in tema con la magia del momento.


Hoffmann ci restituisce anche una storia che parla di sogni e della possibilità, tramite questi, di trasformare la nostra esistenza e le nostre esperienze in qualche cosa di eccezionale ogni giorno. Con occhi favolistici ci prega di non accontentarci dello scontato ma di guardare oltre, restando incantati e sognanti davanti a qualunque situazione in cui possiamo venire a trovarci, per dare una lettura alla realtà che non sia ovvia e scontata, ma ricca e carica di elaborazioni mentali.



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