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Monday, August 18, 2025

Lucio C'è di Marcello Balestra

 «Lucio ha messo amore in tutte le sue canzoni». Può essere riassunto così l'incontro presso il Teatro Comunale di Cagli sabato scorso per la presentazione del libro di Marcello Balestra 'Lucio C'è 


La Vita e la Musica di Lucio Dalla  Prefazione di Walter Veltroni'. 

Ha moderato l'incontro Sandro Pascucci, direttore del teatro di Cagli. L'autore ha rimarcato la stupenda, positiva, incoraggiante personalità di Lucio Dalla.

«Lucio è sinonimo di amore e non solo per una persona, ma per la natura, per la vita, per la salvezza. Ci sono nel repertorio di Lucio molte canzoni sulla speranza. Vorrei proprio porre l'accento su quest'ultima parola. Non ce ne accorgiamo sempre quando cantiamo le sue canzoni, ma è un elemento presente un po' ovunque»,

Un esempio eccellente?

«L'anno che verrà'. C'è la speranza. L'anno vecchio passerà, uno nuovo arriverà. Lui poi vede amore ovunque. In Enna, la sua migliore composizione, ha sottolineato: è l'amore che ci salverà. Non è solamente amore ma è espressione dell'amore di una speranza, il che riveste un valore importantissimo».

Dalla è stato un grande anche e soprattutto con i giovani.

Marcello sottolinea: «Ha dato loro grandissimo spazio, grandissime opportunità: poi è chiaro che dipendeva loro mostrare al pubblico un lato comprensibile. A volte è andata bene, altre volte no, perché probabilmente le canzoni lanciate in quel momento non erano adatte all'epoca. Lucio, però con i giovani era apertissimo. Spesse volte scendeva a mezzanotte da un palco importante, per stare sino alle 3 di notte con un ragazzo che scriveva canzoni, dandogli una mano finché non usciva qualcosa di comunicabile, pubblicabile. Prendiamo ad esempio Cesare Cremonini e la canzone che lo ha lanciato: a Lucio quel successo lì non è mai toccato. Un grande talent scout e una persona gentile, disponibile, generosa, aperta. Lucio Dalla era un fan dei giovani. Amava stare in mezzo a loro non perché volesse sentirsi  più giovane ma perché capiva che i ragazzi avevano una voce, novità da comunicare».

Viene chiesto allo scrittore se ci siano altri aneddoti che ricorda e che non ha incluso nel suo racconto su Lucio.

«Ci sono tante foto in questo libro importante, ma soprattutto tanto testo. Ho tolto tante cose.

Lucio per esempio si dipingeva le calze. Sì, si dipingeva le caviglie, così che sembrasse che avesse i pantaloni. Questa somma di cose lo rendeva non controcorrente ma diverso: ti faceva vedere il lato opposto delle cose. Inoltre per esempio, lui anche quando era ora di mangiare, non si sedeva mai. Prendeva qualcosa dal piatto, spariva e tornava: tornava, riprendeva qualcosa e spariva. In genere il tavolo di Lucio si riempiva nel mentre magicamente di gente che lui portava e lasciava lì a dialogare. Spesse volte queste persone erano estranee le une alle altre, ma lui combinava incontri. Se questo libro avesse un lato B, questi sarebbero aneddoti che lo riempirebbero».

Perché poi il soprannome Domenico Sputo?

«Sputo era un modo per ridurre la sua evidenza, per stare con i piedi per terra. Quando mi chiamava mi diceva: Marcecececececece. Un giorno mi fa: "Marcecece senti: dobbiamo depositare un marchio per un profumo". Gli chiedo il nome e lui mi dice: Landra, che in bolognese significa puzza. Tra la d e la r ci mettiamo un'h e andrà bene. Ovviamente non ha mai messo in produzione un profumo di questo nome, ma dopo la sua morte qualcuno un po' ingenuamente ci ha provato senza riuscirci».

Un'altra dimensione che lui amava sviluppare con gli altri era quella del gioco: «Era gioco provare Caruso con Pavarotti ad esempio. Esprimeva sempre questa modalità quando voleva stimolare qualcuno a provare qualcosa ed al tempo stesso ad essere libero. Questo rendeva le persone più rilassate».



Anna Maria Polidori 

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